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Shany Martin, la (nuova) voce di Verdone, Ruffini e molti altri…


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In un piovoso giorno di febbraio abbiamo incontrato l’irreverente Shany Martin, per celebrare insieme a voi il suo decimo anniversario di carriera artistica. Impossibile definire il suo talento in una sola parola: stimatissimo comico, acclamato imitatore, esperto speaker radiofonico e molto, molto altro.
Abbiamo deciso di festeggiare parlando degli obbiettivi raggiunti e dei sogni nel cassetto, di consigli e considerazioni sul mondo dello spettacolo. Shany ci racconta di come nascono  le sue poesie, delle muse che lo ispirano nel processo creativo, di quando ha ricevuto un complimento da Carlo Verdone…

Innanzitutto complimenti. Quest’anno rappresenta un bel traguardo per te. Cosa ti senti di condividere con chi ti segue dagli albori?

Vorrei condividere con loro soltanto le gioie e i bei traguardi conquistati, ma ritengo giusto – considerandole vere e proprie persone di famiglia – renderli partecipi anche delle mie titubanze e dei miei momenti di buio, che di volta in volta sono in grado di illuminare. E mi hanno illuminato tante volte. Meglio che nun te dico quanto m’è arrivato de bolletta! Scherzi a parte, nel tempo ho capito che uno dei presupposti fondamentali per entrare nel cuore delle persone è riuscire a mostrare il proprio lato umano, oltre alle mille sfumature del personaggio pubblico.

Le tue prime imitazioni sono state quelle di parenti e professori. Quando hai capito che far divertire le persone sarebbe stata la tua professione?

Quando ho cominciato a chiedere e ricevere soldi! Mamma mia, come sono venale.

Hai iniziato la tua carriera giovanissimo, sui palchi della ciociaria. Ad oggi, nel tuo decimo anno di attività, quali pensi siano state le esperienze più formative e significative dal punto di vista professionale e personale?

Dal punto di vista professionale, tutte. Anche le esperienze “minori” mi hanno portato ad apprezzare ancor di più quelle prestigiose che ho avuto in seguito. La partecipazione a Edicola Fiore con Fiorello nel 2015 [Con il quale ha collaborato al format per circa due mesi, Nda], lo studio con Enrico Brignano e Renzo Rossellini, i primi anni da speaker nelle radio locali, in cui ho potuto affinare le tecniche di improvvisazione, tutto è stato utile per la mia crescita. Persino gli impresari che mi hanno imbrogliato, o l’esser costretto ad andare in scena poche ore dopo il funerale di mia Zia Carla, che per me era come una mamma, hanno contribuito a questo sviluppo.
L’arte per me è stata come un terzo genitore, mi ha insegnato tanto, e ha tenuto in serbo per me regali e punizioni.

Cosa influenza maggiormente le tue performances?

Sono innamorato dell’improvvisazione, pur non essendo un improvvisato. E’ una tecnica che uso per arricchire il mio repertorio “fisso” e che determina, nella maggior parte dei casi, la buona riuscita di un evento dal vivo. Improvvisare, come molti credono, non significa buttarsi in scena e affidarsi al destino. Bisogna avere una grande concentrazione sulle situazioni che da serie potrebbero trasformarsi in comiche, soprattutto grazie al pubblico presente, senza esagerare o si rischia di far impazzire la maionese.
E’ una questione di dosi, di equilibrio e di destrezza, che si conquista col tempo.

Sei un artista indubbiamente eclettico. Doppiatore, attore, comico, musicista, regista, speaker radiofonico… Qual è però il ruolo che preferisci?

Mi piacerebbe essere valorizzato di più come attore teatrale. Mi rendo conto, però, che in un     teatro, con un copione che coinvolge più attori in scena, sono difficile da gestire per un regista. Come ho già detto mi piace improvvisare e questo, a certi attori, proprio non va giù. Mi è capitato di litigare con chi ricopriva altri ruoli nello spettacolo proprio per questo motivo…  Però se mi impegno ci riesco, quindi avanti con le proposte!

Ti abbiamo spesso visto nei panni di poeta. Cosa ti spinge a scrivere?

Non mi spinge nulla, altrimenti non scriverei. Succede all’improvviso e non per scelta mia, ma delle poesie che vogliono finire su un foglio. Hanno vita propria e decidono di venire al mondo all’improvviso, proprio come i bambini. Pensa che una volt… Devo andare, ne sta nascendo una.

Quali sono le persone, nella tua sfera emotiva, che più influenzano la stesura dei tuoi spettacoli? Rivelaci le tue muse.

La mia famiglia, Mamma Donatella e la mia compagna Chiara. Ogni volta che faccio l’amore con lei mi nasce un titolo. Ed essendo contro l’aborto, me lo tengo e poi lo faccio crescere.

Abbiamo amato tutti le tue imitazioni, in cui ti cali ogni volta in un personaggio diverso. Quale senti più “tuo”? A quale sei più vicino?

A Bruno Pizzul, perché è stato il primo che sono riuscito ad imitare grazie ad un Angelo Pintus ancora sconosciuto che su Rai Uno, a “Stasera mi butto”, lo proponeva – forse per la prima volta – al grande pubblico.

Tralasciando le imitazioni, per le quali la citazione è palese, a chi ti ispiri quando ti esibisci?

A tutta la scuola Romana che ha fatto grande il nostro cinema, il nostro teatro e la nostra comicità. Da Gigi Proietti a Carlo Verdone, tornando indietro fino ad Alberto Sordi e Nino Manfredi. Potrò sembrare un po’ demodé, ma credo che la forza dell’ironia che fa sorridere con una punta d’amarezza sia maggiore rispetto a quella che genera una risata scrosciante, della quale però ci si dimentica dopo trenta secondi. Dal vivo cerco di fare questo, poi sul web mi costringono ad essere commerciale…

Curioso. Perché è proprio sul web, grazie ai social network e a Youtube, che le tue performances sono arrivate a migliaia di persone. Che rapporto hai con i tuoi sostenitori?

Su Youtube sono sempre stato meno seguito rispetto a Facebook. Con i miei sostenitori esigo – sembra un verbo aggressivo, ma non in questo caso – un rapporto di confronto, di conoscenza, di amicizia. Ho fondato un piccolo fan club denominato “I Sorrisetti” ,un pretesto in più per conoscere chi mi segue, al di fuori del mondo virtuale che presto, temo, manderà nel cassonetto ogni tipo di confronto faccia a faccia. Ma noi Sorrisetti non molliamo!

E con gli haters invece? Ti è mai capitato di essere preso di mira da uno di loro?

Mi è capitato quando i miei video sono stati caricati da pagine Facebook popolari, che mi hanno permesso di raggiungere più di un milione di persone. Sono individui inutili, gli daremmo importanza soltanto parlandone. Ricordi quel detto che dice: “Un leone non perde il sonno per l’opinione di una pecora”?

Alla luce di questi fatti, quali sono state le critiche che ti hanno mosso più spesso e quali invece i complimenti più frequenti?

La critica che mi sento fare ogni volta è quella di usare troppo il mio dialetto. Io credo invece che sia proprio il dialetto – impiegato nel momento e nel modo giusto – a migliorare la battuta che stai dicendo. Amo il romanesco, Roma stessa, e tutto ciò che la riguarda. Forse queste persone vogliono sentirmi parlare il bergamasco stretto, ma non gli darò soddisfazione.
I complimenti che porto sempre con me sono quelli delle persone che a sipario chiuso mi ringraziano, dopo avermi visto dare tutto quel che ho durante gli spettacoli, senza mai risparmiarmi. Per me è giusto e nomale che sia così. Se devi risparmia’ non scegli di fare l’attore, fai il disoccupato tirchio.

Hai ricevuto il consenso e l’approvazione del grande pubblico, ma anche di nomi celebri del cinema e della televisione. Quali sono stati gli omaggi che più ti hanno emozionato?

Ti rispondo senza pensarci due volte: Carlo Verdone. Sono cresciuto con le sue VHS – che da bambino rubavo dalla libreria di mio cugino – e conosco a memoria ogni singola battuta delle sue pellicole. Sono un maniaco, ne sono cosciente. E’ entrato nella mia vita a tal punto che con mio cugino Carlo, altro appassionato Verdoniano, le conversazioni quotidiane si basano per il cinquanta per cento sulle citazioni dei suoi film. Ho avuto la fortuna di incontrarlo, di regalargli una mia poesia e di ricevere i suoi complimenti in merito ad un video in cui imitavo alcuni dei suoi personaggi.
Poi Angelo Pintus, Paolo Ruffini, Gianmarco Tognazzi…

 

Eppure non credo sia stato sempre tutto rosa e fiori. C’è stato un momento in cui lo sconforto ti ha portato a pensare di mollare tutto?

Più di una volta. In due o tre momenti della mia vita ho avuto il pallino di intraprendere la carriera militare – mio padre era carabiniere. In altri ho desiderato farmi prete. Ma alla fine sentivo sempre la stessa voce nella testa: “Ma nun sai fa’ nient’altro, do’ vai?”. E allora ho continuato.

Per il momento, quindi, continuerai a deliziarci della tua arte. A quali progetti stai lavorando attualmente?

Mi piacerebbe portare a termine l’idea di un disco che raccolga i brani meno noti della tradizione Romanesca. Quelli che, quando vai a cena fuori, non rientrano nel repertorio dagli stornellatori, ma meriterebbero comunque di essere messi in risalto. Ce la farò!

Ripensando ai tuoi successi, ma anche ai fallimenti, cosa consiglieresti allo Shany di dieci anni fa, o a chi, come il te di allora, sta muovendo i primi passi in questo ambiente artistico?

Gli direi di non prendersela più di tanto per le ingiustizie e per le persone squallide che purtroppo dominano questo ambiente. E che il tempo sarà l’unico giudice di tutto.

Di persone riprovevoli, purtroppo, il mondo è pieno. Lo hai spesso ribadito anche tu, quando dici di esibirti a Roma e dintorni perché “i soldi non li danno”. Cosa ne pensi di chi richiede prestazioni artistiche senza offrire un adeguato compenso?

Un “L’animaccia vostra” può bastare?

Siamo stati tutti testimoni dei grandi risultati ottenuti in questi dieci anni di attività. Dove sarà Shany tra altri dieci anni?

A pensarci me viene l’ansia… Famo che se risentimo!

Aurora Di Sabantonio

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