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Uccise il suo stupratore: la Cassazione conferma la pena a 14 anni

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Uccise il suo stupratore, la Cassazione conferma la pena a 14 anni di carcere per Liliana Ordinanza. L’Avv. Nassisi: «Liliana è stata condannata perchè inizialmente presa dal panico non ha immediatamente confessato, perché aveva paura ed era in uno stato di shock. Ha confessato tutto dopo tre giorni. Non le hanno voluto dare credito. Il giorno dell’omicidio Liliana è andata anche in polizia e l’assistente l’ha mandata via».

Condanna definitiva per Liliana Ordinanza

Speranze finite per la 28enne coneglianese Liliana Ordinanza. La Corte di Cassazione ha difatti confermato la condanna a 14 anni e 4 mesi di reclusione, inflittale in precedenza dalla Corte di Appello di Venezia (comunque di cinque anni in meno rispetto a quelli che le erano stati inflitti in primo grado), per l’omicidio di Medhi Chairi, operaio 42enne di Miane, il 17 aprile 2016.

La donna si è sempre difesa puntando sul fatto che l’accoltellamento fosse avvenuto dopo che l’uomo l’aveva stuprata e segregata, agendo quindi per legittima difesa dopo una nottata trascorsa tra il consumo di alcol e droga.

L’avvocato Monica Nassisi, legale di Liliana Ordinanza, è intervenuta ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano.

Liliana Ordinanza, la violenza: «Lui l’ha presa e l’ha sbattuta sul letto» 

«Liliana e Chairi si conoscevano quindi lei non aveva motivo di dubitare di questa persona –ha affermato Nassisi-. E’ andata a casa sua, purtroppo avevano fatto entrambi uso di droga, a un certo punto questo Chairi ha tentato di fare delle avances che Liliana ha respinto anche perché aveva subito da poco un intervento chirurgico importante all’utero e in ogni caso non poteva avere rapporti».

«Lui l’ha presa e l’ha sbattuta sul letto, abusando di lei. Lei è rimasta ferma, immobile come capita a gran parte delle vittime. La conferma del rapporto sessuale c’è stata anche dal ritrovamento del dna negli slip del Chairi. Il giudice di primo grado ha sottolineato in sentenza che una violenza sessuale secondo lui ci sarebbe solo nel momento in cui c’è un rapporto violento, quindi se sono presenti lesioni e ferite. Alla fine del rapporto lei ha chiesto a Chairi di riportarla a casa, lui invece ha detto: no, non è finita qui. Lei ha fatto finta di andare in bagno per poter scappare, ha trovato la porta chiusa. Allora è andata in cucina, ha preso un coltello per intimare a Chairi di darle le chiavi».

La lite mortale

Prosegue il legale. «Lui le ha preso il coltello, è nata una forte colluttazione per tutta la casa, finchè poi Liliana è riuscita a riprendere il coltello e ha colpito Chairi. Poi lei ha lanciato il coltello dalla finestra, è riuscita a prendere le chiavi ed è scappata con l’auto di Chairi, tant’è che è stata condannata anche per furto. Liliana è stata condannata perchè inizialmente presa dal panico non ha immediatamente confessato, perché aveva paura ed era in uno stato di shock».

«Ha confessato tutto dopo tre giorni. Non le hanno voluto dare credito. Il giorno dell’omicidio Liliana è andata anche in polizia e l’assistente l’ha mandata via. Nella sentenza di terzo grado c’è scritto che non è compito dei giudici stabilire il movente, le motivazioni che hanno portato Liliana a colpire mortalmente una persona. A livello mediatico questa storia non è stata considerata, evidentemente era troppo scomoda una donna italiana che si è difesa».

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