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Usura, l’incubo di Anna. 10 mila euro che diventano 250: «Se non paghi ti ammazziamo»

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Una storia da incubo, quella che ci racconta Anna, nome di fantasia, vittima di usura. Già, perché gli usurai non colpiscono solo gli uomini: anche le donne sono vittime. In un anno le hanno estorto circa 200 mila euro, a fronte di un prestito di soli 10 mila. Ha perso due automobili e ha vissuto con la paura che succedesse qualcosa di terribile ai suoi cari. Tutto ha inizio quando la donna, benestante, per poter concludere un grosso lavoro che stava facendo necessita di ulteriori 10 mila euro che in quel momento non ha disponibili.

L’amica la presenta agli strozzini

Parlando con la sua più cara amica le racconta la situazione e questa le dice: “Non preoccuparti, ti presento mia cugina, lei non ha problemi finanziari, sicuramente ti potrà aiutare”. “Ho quindi chiesto alla cugina della mia amica e a suo marito un finanziamento e loro me lo hanno accordato, suddividendolo però in due rate da 5.000 euro, quindi 10.000 euro in tutto, che sono diventati 180 mila euro con gli interessi nel giro di un anno. Questo in base ai calcoli che ho fatto io, ma alla fine di tutta la storia il Pubblico Ministero mi ha detto: «Guardi, secondo me sono molti di più, i soldi che lei ha pagato agli usurai. È lei che non ha fatto bene i conti: da quello che ho calcolato, ha pagato circa 250 mila euro». E probabilmente è stato proprio così”.

Mi vuole raccontare come è successo?

“Quando ha scoperto che ero in difficolta e che mi servivano 10 mila euro, un’amica mi ha detto: «Guarda, mia cugina te li può dare, perché sta bene economicamente. Ti ci faccio parlare». Io mi sono fidata, perché lei era la mia migliore amica. Ho parlato con questa cugina e con il marito, che mi hanno fatto avere i primi 5 mila euro, dicendomi che non erano soldi loro, ma di altre persone, che stavano in Campania. Chiedevano un interesse di 1000 euro al mese. E mi avrebbero dato gli altri 5000 il mese successivo. Ovviamente sarebbero raddoppiati anche gli interessi. Ma io, senza riflettere che si trattava di un tasso usuraio altissimo ed essendo nella necessità di avere quei soldi in quel determinato momento, oltre che sicura di poterli restituire in breve tempo, ho accettato. Solo che, già prima della fine del primo mese, i due pretendevano la restituzione dell’intero importo e degli interessi, cosa che ovviamente non avevo. Siccome al momento del prestito avevano voluto che in garanzia firmassi la cessione della mia auto, una Golf GTI di poco più di un anno di vita del valore di circa 25 mila euro, dicendomi che si trattava di una mera formalità, visto che allo scadere dei 30 giorni io non avevo quei soldi tutti insieme, hanno depositato questa garanzia e si sono presi la mia macchina. Poi, ‘generosamente’, mi hanno dato gli altri 5 mila euro pattuiti. Ma a questo punto il debito era di 10 mila più tutti gli interessi, che aumentavano di giorno in giorno. Mi sono quindi ritrovata senza auto, ma con le rate della macchina ancora da pagare, perché l’avevo comprata in leasing. Ero disperata: adesso avevo il debito con gli strozzini, le rate della macchina che si erano presi loro ed ero pure a piedi, dopo appena un mese. Ho quindi dovuto comprare un’altra automobile, sempre a rate, perché mi serviva per lavorare”.

La donna aveva un mestiere che le consentiva di guadagnare molto bene, ma tutto ciò che prendeva andava a finire nelle tasche dei due criminali.

“Ero costantemente sotto pressione, non riuscivo più a vivere. Mi martellavano in continuazione dicendomi di pagare gli interessi. Le telefonate di minacce iniziavano alle 6 di mattina. Era soprattutto la donna a farle, mi chiamava almeno 10 volte al giorno, fino alle 11 di sera, in continuazione, mi distruggeva psicologicamente”.

Cosa le diceva?

“Che dovevo pagare, altrimenti avrei fatto una brutta fine. Ma questo era niente. Minacciavano la mia famiglia, mia figlia, persino mio nipote. Facevano allusioni alla mia casa, dicevano che ci avrebbero gambizzato o uccisi. Ovviamente non loro, ma ‘quegl’altri’. Mi avevano infatti detto che le persone che gli avevano dato i soldi per prestarmeli, personaggi della camorra napoletana, si erano innervositi perché ancora non li avevo pagati e per questo volevano darmi una lezione, colpendo i miei familiari. Ero disperata, esaurita, non ce la facevo più. E allora io pagavo, pagavo sempre di più. Ma il problema è che per loro quelli erano solo gli interessi, il debito rimaneva sempre. Un giorno, visto che non avevo modo di dargli soldi contanti, mi hanno costretto ad acquistare un’altra auto, una Bmw, ovviamente in leasing: nel giro di pochi giorni ho dovuto intestarla a loro, che l’hanno immediatamente rivenduta. Era la seconda macchina che mi sottraevano con le minacce. Ho dovuto fare le rate da 450 euro al mese, che ho pagato per anni, anche se la macchina io non l’ho mai usata”.

Anna pagava, ma il debito non scendeva mai, anzi aumentava di mese in mese. Quello che versava, infatti, andava a coprire solo parte degli interessi, che non calavano mai perché gli usurai le facevano pagare gli interessi non solo sulla quota capitale, ma anche sugli interessi residui, arrivando a cifre spropositate.
I due si facevano liquidare prevalentemente in contanti, ma la vittima – seppur soggiogata e provata psicologicamente – riesce a mantenere un po’ di fermezza e si fa valere in alcune occasioni, riuscendo ad effettuare diversi pagamenti con transazioni postali.

“Moglie e marito si erano infatti trasferiti a Torino, quindi era diventato difficile vederci per consegnare i contanti. Nonostante questo, avrebbero voluto che pagassi in contanti per non lasciare tracce, ma saldarli ogni mese in questa maniera era oggettivamente difficile, anche se spesso riuscivo a farlo perché mi recavo in Liguria a trovare mia madre e da lì con un’ora di treno raggiungevo il capoluogo piemontese, dove li incontravo per consegnare i soldi. Facevo quindi dei pagamenti online, di cui rimaneva ovviamente traccia. Fortunatamente, anzi, direi quasi per miracolo, dopo un anno vissuto in questo modo, tra minacce e pagamenti continui, in cui ho rischiato non solo la bancarotta, ma anche la depressione e la morte, ho conosciuto un angelo, Italo Santarelli, presidente dell’Airp (Associazione Italiana Riabilitazione Protestati). Gli ho raccontato la mia storia e solo grazie a lui ho capito che l’unica strada per uscirne era denunciare. Ho vinto la paura e, ovviamente senza dire nulla ai miei strozzini, sono andata a denunciare tutto, cosa che ho potuto fare anche grazie al fatto che avevo effettuato diversi pagamenti online e quindi documentabili. Italo mi è stato accanto nel periodo delle indagini, quello in cui ho continuato a ricevere minacce e a pagare, stavolta sempre in modo tracciabile per dimostrare quello che stava accadendo”.

La goccia che fa traboccare il vaso e fa decidere ad Anna di denunciare è quando la coppia dice alla donna di firmare un documento, che di fatto trasferisce alcune proprietà della vittima a loro. “Non firmo niente”, risponde lei. “Se non lo fai – la minacciano i due – ‘quelli’ vengono e ti gambizzano, lo sai”.

“Possono anche venire ad ammazzarmi, stavolta, non mi interessa. Io non firmo”, ribadisce risoluta Anna. Ormai non ce la fa più, la disperazione si mischia alla speranza che le ha dato Italo, il quale le ha detto che, una volta denunciati, gli aguzzini non hanno più il coraggio di fare nulla. Per far arrestare i suoi estorsori, la donna organizza una trappola insieme alla polizia. Sostiene di non avere più soldi per pagare il debito, ma di aver trovato una finanziaria disponibile a darle l’importo necessario a chiudere la partita definitivamente.

Italo, che le regge il gioco, ricopre il ruolo dell’agente finanziario e conferma telefonicamente il buon fine del finanziamento. Viene quindi fissato un appuntamento a Roma per la consegna dell’importo, di 25 mila euro, per la chiusura del prestito iniziale di 10 mila, per il quale nel frattempo la donna ha già versato più di 180 mila euro. A Roma arriva, atterrando all’aeroporto di Fiumicino, solo il marito, con cui la vittima – ‘armata’ di un registratore che gli avevano dato gli inquirenti – si incontra in auto per la consegna degli assegni, dicendo di non avere la possibilità di contanti per una cifra così alta. L’uomo inizialmente si arrabbia, poi fa buon viso a cattivo gioco e intasca gli assegni in fretta, perché da lì a poco ha un nuovo volo per Torino.

Non sa che tutta la scena è stata osservata da agenti in borghese, che lo fermano pochi minuti dopo, all’ingresso dell’aeroporto. Quando i poliziotti lo perquisiscono e chiedono come mai si trovi in possesso di quegli assegni, l’uomo prova a giustificarsi dicendo che si tratta di importi relativi alla vendita di abiti. Peccato che risulti che lui di mestiere venda frutta al mercato. L’uomo viene quindi arrestato con l’accusa di usura, la stessa di cui verrà accusata la moglie. Grazie a un bravo avvocato, l’uomo viene rilasciato dopo appena 3 giorni. Riesce a portare 40 falsi testimoni in tribunale, ma con le prove portate dalla vittima (tracciabilità dei pagamenti effettuati, le due macchine sottratte, alcune telefonate registrate, la testimonianza di Santarelli nell’ultimo periodo dell’usura ed estorsione) oltre che, ovviamente, delle risultanze delle indagini condotte dalla polizia, la coppia diabolica è stata riconosciuta colpevole a livello penale e condannata a una pena accessoria di risarcimento danni nei confronti della vittima di 50 mila euro, “Che però io non ho mai visto”, dice amareggiata Anna.

Il processo civile deve ancora iniziare, ma la donna ha poche speranze di poter recuperare quanto perso finora, almeno da parte dei suoi aguzzini.

“L’unica speranza è attraverso il pignoramento dei loro beni: finora non ho rivisto un solo centesimo dei soldi che ho sborsato che, come appunto diceva il Pm, dovrebbero essere addirittura 250 mila euro. A metà processo mi hanno sospeso le rate della BMW che stavo ancora pagando, ormai avevo quasi terminato il leasing di quella macchina comprata e mai usata, perché mi hanno riconosciuta come vittima. Adesso spero che la giustizia completi il suo corso. Ringrazio il momento in cui ho preso, grazie a Italo Santarelli, la decisione di denunciare, altrimenti non so dove sarei in questo momento. Se ora ho nuovamente la possibilità di tenere per me quello che guadagno e non di darlo ad altri, è solo perché ho denunciato e sono uscita da quell’incubo. Ancora non riesco a capire come ho fatto a finirci dentro e me ne vergogno anche un po’, ma poi capisco che a vergognarsi devono essere loro e non io”.

 

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