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Titan, i rischi che si corrono quando si è intrappolati sott’acqua: soffocamento, ipotermia e attacchi di panico

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Titan, i rischi che si corrono quando si resta intrappolati sott'acqua

Ancora non si hanno notizie del sommergibile Titan. Né, di conseguenza, delle condizioni di salute dei suoi passeggeri. Qualora dovessero essere ancora in vita, se l’ossigeno non fosse già terminato, sono svariate le conseguenze che i loro fisici potrebbero avere a causa dell’intrappolamento sott’acqua.

Restare ingabbiati all’interno di uno spazio chiuso come quello di un sottomarino porta il cervello a reazioni incontrollate, che arrivano anche a provocare la morte. Si va dagli attacchi di panico al soffocamento graduale, passando dall’ipotermia. A sostenerlo, spiegandone le motivazioni, il dottor Dale Molé, ex direttore della medicina sottomarina e delle radiazioni della Marina statunitense, uno dei massimi esperti del settore. Il medico proprio il mese scorso, il 29 maggio – quindi solo 20 giorni prima della disgrazia – ha pubblicato un articolo su una rivista scientifica, nel quale descriveva nel particolare come sia «difficile e ostile» l’ambiente all’interno dei sottomarini commerciali. Chi sale all’interno, equipaggio o passeggeri che siano, si trova davanti a problemi di varia natura, che vanno dalle scorte di ossigeno in esaurimento ai livelli tossici di anidride carbonica, fino alle temperature che scendono rapidamente.

Cosa può essere accaduto sul Titan

Anche se a bordo del sottomarino Titan ci sarà lo scrubber di anidride carbonica, necessario per eliminare le tossine prodotte a causa della respirazione in ambiente chiuso e ristretto, il funzionamento sarà comunque limitato alla capacità dello stesso e non infinito. Ma cos’è esattamente lo scrubber? Si tratta di un’apparecchiatura che permette di abbassare la concentrazione di polveri e microinquinanti acidi in una corrente gassosa. Nel momento in cui la funzionalità dello scrubber non sarà più garantita, l’aria all’interno del sottomarino non sarà più respirabile.

Il freddo dell’acqua oceanica (parliamo di temperature esterne di circa 41 gradi Fahrenheit, ovvero di 5° Celsius) i passeggeri rischiano anche di andare in ipotermia, oltre che in iperventilazione a causa di panico provocati dalla paura. Entrambi i fenomeni vanno a bruciare altro ossigeno, a favore invece dell’anidride carbonica.

Quando e dove è stato perso il contatto con il Titan

Il sommergibile Titan si trovava a circa 400 miglia a sud-est di St John’s, Terranova, a largo del mare del nord del Canada, quando, alle 9:45 ore locali di domenica 18 giugno (in Italia già lunedì 19 giugno) si è perso il contatto con la nave madre dopo circa un’ora e 45 minuti di immersione. Il sottomarino, infatti, si era immerso verso le ore 8:00, verso Est, per andare a vedere il relitto del Titanic.

Ma qualcosa è andato storto e, da quel momento, si è persa ogni traccia dell’imbarcazione e del suo equipaggio, formato da  Paul -Henry Nargeolet, conduttore del sommergibile, soprannominato “Mr Titanic”, oceanografo ed esploratore francese. C’è poi il miliardario britannico Hamish Harding, il magnate pakistano Shahzada Dawood accompagnato da suo figlio 19enne Sule Man e infine Stokton Rush, l’Ad di Ocean Gate, ovvero la la società che gestisce il Titan. Anche qualora il sottomarino non fosse rimasto incagliato in fondo all’oceano e fosse riemerso in superficie, in un punto non ancora trovato, le possibilità di salvezza delle persone all’interno sono comunque molto scarse, in quanto il sommergibile è sigillato all’esterno con 17 bulloni che possono essere aperti solo se qualcuno arriva in loro aiuto.

Cosa dice l’esperto

Secondo quanto scritto dal dottor Dale Molé nel suo articolo qualsiasi equipaggio che resti intrappolato all’interno di una nave o sottomarino affondato «deve affrontare molte sfide fisiologiche, tra cui i gas tossici, l’esposizione a pressioni ambientali elevate e l’ipotermia». Lo studio fatto dal medico non lascia buone speranze, anche perché più è piccola l’imbarcazione, meno sono le possibilità di salvezza.

ll problema maggiore non è tanto la mancanza di ossigeno, fa notare il medico, quanto invece la presenza di anidride carbonica. Fino a quando il sistema di “lavaggio” dell’anidride carbonica funziona allora ci sono buone possibilità. Sono invece dolori quando questo non va più. Ecco la spiegazione del dottore: «Quando le persone all’interno inspirano ossigeno, lo espirano e passa dal 21% al 17% di ossigeno. Ma espirano anche anidride carbonica, che deve essere rimossa, perché altrimenti diventa tossica. Le persone all’interno avranno difficoltà a respirare, la loro profondità di respirazione aumenterà. Avranno mal di testa e diventeranno gradualmente incoscienti. L’aumento del livello di anidride carbonica è il primo fattore che uccide le persone in un ambiente ermetico, non il livello di ossigeno. Diventa come mettersi un sacco in testa. Avranno una sensazione di soffocamento o di fame d’aria, e poi seguirà l’incoscienza».

Rischio ipotermia

L’ultimo rischio di cui il medico ha parlato è quello dell”ipotermia. Un rischio tanto più elevato in più elevato a causa del “formato ridotto” del sommergibile, come spiega il medico. Se, a pieno regime, le apparecchiature elettroniche che vi si trovano generano un certo calore all’interno, così come la stessa presenza delle persone, il contatto con l’oceano farà raffreddare rapidamente la struttura. «All’inizio i passeggeri inizieranno a rabbrividire per cercare di generare calore, consumando così più ossigeno – spiega il dottore – Perderanno quindi la capacità di usare le mani e poi cadranno gradualmente nell’incoscienza».

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