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La storia choc: ‘Perseguitata dal mio ex e stalkerizzata da chi doveva proteggermi’

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«Si chiede alla donne di denunciare, denunciare, denunciare. A questo punto però io non lo dirò più. Perché quando le donne denunciano non vengono ascoltate».

Federica Sciarelli ha lanciato una provocazione dalla sua trasmissione Chi l’ha visto proprio alla vigilia dell’8 marzo. Una frase che ha molto colpito l’opinione pubblica e le associazioni che si battono contro la violenza di genere e che la conduttrice ha quasi urlato a favor di telecamera dopo aver raccontato la storia di un ennesimo femminicidio, quello di Ilenia Fabbri a Faenza.
Federica Sciarelli usa l’arma del paradosso con sconforto e rabbia che si leggono chiaramente nel suo discorso, perché la signora Fabbri aveva denunciato eccome quelle violenze psicologiche e fisiche di ogni tipo da parte dell’ex marito. Violenze che si erano trasformate in minacce dopo la separazione, minacce scritte e documentate. Ilenia era stata dai Carabinieri, aveva denunciato. Ma non era stata ascoltata. Ed è stata uccisa.

Noi de Il Corriere della Città siamo venuti a conoscenza di una storia che ha avuto per fortuna un epilogo completamente diverso ma che merita di esser raccontata, perché è la perfetta fotografia del clima di solitudine e di sconforto in cui si trova una donna vittima di minacce da parte dell’ex marito o del compagno quando decide che la sua vita meriti di più di quella convivenza.
Quando decide di denunciare.
Succede in provincia di Roma, succede in una famiglia che
agli occhi degli amici, tanti, che hanno e che la frequentano, è una famiglia perfetta. Una famiglia che ha tutto. Un figlio, una villa con giardino, loro due giovani e pieni di vita. Nessun problema economico anzi… Ma poi, dopo anni di tutto questo bel vivere, succede che Alice (nome di fantasia) sente che non è quella la vita che vuole avere per lei. E soprattutto decide che lui, il marito, non sarà più l’uomo della sua vita. E allora, dopo mesi di difficile convivenza piene di discussioni per ogni cosa, di schermaglie nervose e di continui ricevimenti in casa per mascherare quell’atmosfera insopportabile di solitudine interiore, succede che Alice glielo dice: «Non ti amo più. Non ti voglio più vicino. Ho deciso di separarmi».

L’inizio dell’incubo

E da quel momento comincia l’inferno. Come succede a tante. Come succede ad Alice.
Da quel momento va in scena il solito clichè conosciuto dalle tante pagine di cronaca in questi anni e dalla lettura dei verbali di denuncia di cui sono strapieni le caserme dei Carabinieri e le stazioni di Polizia di tutta Italia. E allora quello che per Alice è ormai il suo ex marito, mette in scena a favore di figlio e parenti i suoi pianti e i suoi scongiuri sperando in un ripensamento di lei. Ma visto che il ripensamento non arriva, inizia a lavora di strategia, stampando gli estratti conto a dimostrare ad Alice che la loro situazione economica di famiglia benestante potrà peggiorare. Ma ad Alice i soldi non interessano. E allora, visto che Alice è sempre più determinata, lui passa alle vie di fatto. E inizia per lei non solo la paura di rimanere in casa con lui, ma tutta una serie di azioni di controllo, di pedinamento, di ricerca di un “altro uomo” che Alice non ha e che per lui però può esser l’unico motivo. Perchè per lui, non è possibile che Alice semplicemente lo rifiuti. Deve esserci un altro. E allora la insegue quando esce per andare al lavoro. La spia fuori scuola quando va a prendere il loro figlio. La minaccia di morte se l’avesse scoperta con un altro, perché lui ha bisogno di un nemico, dell’altro. Fino a che, un giorno, Alice trova nel portabagagli della sua auto un aggeggio elettronico che emette una luce rossa intermittente. E capisce che la misura è colma. E si decide ad andare via, dai suoi genitori, iniziando le pratiche di separazione con il bambino che starà a giorni stabiliti con la mamma e con il padre.
E da quel momento ogni volta che Alice esce per andare al lavoro oppure la sera per andare con amiche e amici, succede che lui stia lì sotto a controllare le sue uscite e i suoi ritorni. E inizia per Alice un inferno di paura e di insicurezza. Nessuno può accompagnarla a casa perché chiunque potrebbe scatenare la reazione di quell’uomo che poco importa se ormai frequenta altre donne, perché per lui la richiesta di libertà di Alice è un affronto. Da punire.
E
allora Alice, finalmente, con un bagaglio interiore ormai pieno di paure e di lacrime amare e con quell’aggeggio che le hanno spiegato, traccia con il GPS la sua posizione in una app nel telefono del suo ex marito, decide di andare dalle forze dell’ordine.

Dalla (mancata) denuncia alla nuova persecuzione

E da questo momento però che inizia un’altra storia.
Una storia che non dovrebbe succedere, ma che succede. Che succede in un luogo (caserma o stazione di Polizia non importa e non lo diremo) dove si dovrebbe stare al sicuro. E che se non avessimo visto le prove avremmo avuto difficoltà a credere sia successa veramente.
Alice racconta la sua storia a un uomo in divisa che la accoglie e ascolta serio tutti quei mesi infernali. Lei gli mostra quell’aggeggio che la controllava nei suoi spostamenti. E quello che con la divisa la ascolta, le dice che lo dovrebbe denunciare, verbalizzare questa sua invasione della privacy e queste continue azioni di presenza e disturbo sotto casa. Ma… «Ma signora ci pensi bene eh. Perchè si va nel penale e poi suo figlio vedrà suo padre attraverso un vetro. E se poi perdesse il lavoro?» E allora Alice perde le sue certezze, dice che non sa cosa fare e quello che in quel momento le sembra il suo salvatore, le dà uno dei consigli che chissà, forse regala solo a lei, o che invece usa come metodo. «Mi lasci il suo telefono signora Alice, noi monitoriamo il tutto e la chiamiamo per sapere come si sta evolvendo la situazione e semmai interveniamo». E Alice scrive il suo numero su un foglio. Lui se lo mette nella tasca della sua divisa.
E dal quel momento succede che Alice inizia a ricevere messaggi non solo dal marito, pieni di odio e di livore, pieni di minacce di ogni tipo, ma anche dall’uomo in divisa. E non sono messaggi di sostegno e di ricerca di informazioni propedeutiche all’indagine:
“Scusami, lo so che è un periodo difficile, ma voglio dirti che da quando sei venuta a far la denuncia non dormo più pensando ai tuoi occhi” – “Sarebbe bellissimo se ci vedessimo al mare così me ne parli da sola” – “Non riesco a dimenticarti… la tua eleganza, il tuo fascino, le tue forme… E ti ribadisco che qualora avessi bisogno di un intervento chiamami”.

No, decisamente il tono dei messaggi non è quello che Alice si sarebbe aspettata da uno con la divisa, da chi la dovrebbe difendere: «Sapeva dove vivevo, l’indirizzo di casa dei miei genitori, sapeva tante cose che gli avevo detto convinta di dirle a chi avrebbe dovuto usarle per difendermi. E lo sconforto è diventato insopportabile. Mi tempestava di messaggi, di telefonate… Ma come? Scappo da uno che come un lupo mi bracca sotto casa e mi segue dappertutto e mi ritrovo con la paura di un altro lupo che mi aspetta? Un altro lupo che mi ha deluso doppiamente, perché ha cercato di approfittarsi della mia situazione conoscendo benissimo, perché gliele avevo raccontate io in un impeto di fiducia, tutte le mie paure e il mio bisogno di protezione. Protezione che doveva ormai passare per lui. Mi sono sentita in trappola. Mi sono sentita tradita».

Vivere con il fiato addosso di qualcuno che controlla ogni tuo movimento è terribile e solo chi lo vive, chi lo ha vissuto può capire: ci si sente violati nell’anima. Manca l’aria. Si comincia a essere sospettosi, si esce da casa con un po’ di ansia, ci si guarda sempre intorno per vedere se qualcuno ci sta osservando, si sale in macchina osservando gli specchietti per controllare se ci stanno stanno seguendo. E non è esagerazione, non è psicosi: è una forma di autodifesa quando si capisce che nessun altro può farlo.

Uscire dal tunnel

Alice è riuscita dopo mesi a placare le ire del suo ex marito e a freddare con tanta diplomazia e una punta di incosciente indifferenza gli ardori dell’uomo in divisa, di colui che ne aveva raccolto le lacrime e lo sconforto e che al contrario le proponeva week end di sesso furioso. E che a lei sembrava di veder passare sotto casa sua dopo averle scritto al cellulare. Ha ritrovato un equilibrio  tutto suo e vede finalmente una nuova vita davanti, una vita da mamma e da donna felice. E ha deciso di raccontarci questa sua storia, perché: «Già per una donna, decidersi a denunciare è un passo tanto tanto difficile. E poi non trovare comprensione ma anzi, come è accaduto a me, aggiungere angoscia su angoscia è quanto di peggio ti possa capitare».

È successo ad Alice. Potrebbe succedere a tante altre. Succede che la provocazione di Federica Sciarelli scuota l’anima di Alice che decide così di raccontarci la sua esperienza. Ci lascia con un sorriso, questa donna coraggiosa e con una frase disarmante che racchiude tutto il senso della sua paura di allora e della forza che oggi ha dentro il suo cuore di donna mai doma: «Succede… Ma non deve più succedere».

Buon 8 marzo Alice.

Mauro Valentini

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