Si è svolta domenica 17 marzo la ventunesima edizione del «Daddy’s Pride», ossia l’unica marcia al mondo organizzata dai padri separati, che manifestano nelle strade e nelle piazze per rivendicare e difendere il diritto inviolabile di ogni figlio di poter amare indiscriminatamente due genitori e quattro nonni. Negli anni passati la marcia si è tenuta a Vienna, Parigi, Praga, Bratislava, Berlino e Berna. Quest’anno anche Madrid, Varsavia e Atene.

In particolare, dalle due del pomeriggio, le associazioni partecipanti – sia italiane che europee – si sono radunate, in Piazza Madonna di Loreto a Roma davanti Piazza Venezia per poi mettersi in marcia in via Fori Imperiali per raggiungere il Colosseo.

CHE COSA CHIEDONO I PAPA’

DATI SCONCERTANTI

Fino a qualche anno fa erano soprattutto gli immigrati, gli anziani soli, i disoccupati e alcuni giovani senza famiglia e senza lavoro a chiedere aiuto alla Caritas per sopperire ai bisogni di prima necessità, come ad esempio l’alimentazione ed il vestiario. Da poco tempo, però, la situazione è molto cambiata, con l’aumentare purtroppo di coloro che sono stati definiti “i nuovi poveri”.

All’interno di questo schema generale esistono realtà e storie molto diverse, spesso poco prese in considerazione dai media. In Italia è questo il caso dei padri separati che, quando si parla di divorzio e problemi relativi alla separazione, vengono messi in secondo piano rispetto alle mogli. Questo perché la donna, soprattutto se madre, viene trattata dalla legge come “parte debole” da tutelare, ma cosa succede se queste tutele si trasformano per il marito in una condanna alla povertà?

«Finché morte non vi separi» è una formula che nasconde la triste condizione di padri che, finito l’idillio, si ritrovano in una condizione d’inferno, senza più un soldo, magari senza casa e privati della possibilità di vedere i propri figli. Sono questi i nuovi poveri di un’Italia sempre più nella morsa della crisi economica, nascosti allo sguardo finché non accade qualche tragedia da prima pagina dei giornali.

A dare l’allarme è l’Europa. Recentemente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo si è pronunciata condannando l’Italia in quanto “non assicura i diritti dei padri separati”. Si nota come il riferimento primario sia la disparità di trattamento per quanto riguarda l’affidamento dei figli e la possibilità dei padri di passare del tempo con loro, ma non solo, perché c’è anche un rimando all’aspetto economico, troppo spesso sottovalutato. Viene dato per scontato, almeno dall’opionione pubblica, che in caso di divorzio sia l’uomo a dover garantire il sostentamente dell’ex moglie e di eventuali figlio, ma quasi mai si riflette su cosa significa questo salasso per le tasche del povero uomo. Anche se la donna, dopo qualche tempo, trova un nuovo compagno e con lui decide di convivere, potrà sempre e comunque contare sui cosiddetti “alimenti”, anche se non ne avrà più bisogno. Quando ci sono i figli di mezzo, poi, la questione diventa ancora più scottante.

AFFIDO CONDIVISO, UNA LEGGE SVUOTATA NEI SUOI CONTENUTI

I recenti dati Istat  riguardanti le “Separazioni e i Divorzi in Italia” condannano i papà. Nonostante in Italia sia in vigore la Legge 54/2006 che sancisce l’affidamento condiviso dei figli minori tra i due coniugi ed il  sostentamento economico dei figli in misura proporzionale al reddito, i recenti dati Istat riguardanti le “Separazioni e i Divorzi in Italia” pubblicati  dall’Istat il 14 novembre 2016 raccontano un’altra verità che condanna la categoria maschile:

1) La quota di affidamenti concessi al padre continua a rimanere su livelli molto bassi. Le separazioni con i figli in affido condiviso sono state l’89% contro l’8,9% di quelle con i figli affidati esclusivamente alla madre (dato in aumento rispetto agli anni precedenti);

2) Nella quasi totalità dei casi (94,1%) è il padre a versare gli assegni di mantenimento. Gli assegni di mantenimento solo per i figli vengono corrisposti nel 33,9% delle separazioni, gli assegni al coniuge con quelli ai figli sono il 10,5%, mentre raddoppia (21,3%) nelle separazioni con figli minori, l’assegno solo per il coniuge è del 10,1%. L’Ammontare medio dell’assegno per il mantenimento dei figli risulta essere di €. 485,43 .

3)Gli assegni di mantenimento solo per i figli vengono corrisposti nel 33,9% delle separazioni, gli assegni al coniuge e figli sono il 10,5%. Tale dato raddoppia (21,3%) nelle separazioni con figli minori, l’assegno solo per il coniuge è del 10,1%. L’Ammontare medio dell’assegno per il mantenimento dei figli risulta essere di €. 485,43 .

4) Nel 60,0% delle separazioni la casa è stata assegnata alla moglie (dato in aumento rispetto agli anni precedenti). Tale indicatore, nel 2015, raggiunge il 69% per le madri con almeno un figlio minorenne.

Inoltre, la Corte Suprema ha stabilito che anche il figlio che abbia raggiunto la maggiore età e che sia laureato ha diritto ad ottenere l’assegno di mantenimento finché non trovi un’occupazione adeguata alla sua condizione sociale, ma solo a patto che si attivi per trovare lavoro nei “limiti temporali in cui le aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità di essere realizzate“. Il mantenimento all’infinito è una pura ingiustizia sociale. Stessa cosa, se vogliamo, accade per l’abitazione.

Un’inchiesta di qualche anno fa ha rivelato un dato paradossale: il 19 % dei padri separati versa un mantenimento per i figli non più minorenni, il 6% addirittura versa un mantenimento a figli di età superiore ai 30 anni. Dai dati si evince che in caso di divorzio “la casa segue i figli”, e questo vuol dire che la casa di proprietà condivisa va alla madre, con il padre sfrattato da un giorno all’altro. E’ per questo motivo che si sentono storie di padri che vivono in auto o in motel di infima categoria per riuscire a rientrare nelle spese con il solo stipendio perché, se è vero che se la madre non vanta alcun titolo di proprietà sull’immobile il giudice non potrà espropriare il bene per darlo all’altro coniuge, è anche vero che anche in queste situazioni l’ex moglie è sempre più tutelata dell’ex marito. Il divorzio si trasforma così in un affare per le donne e in una condanna a vita per l’uomo.

ALLARMANTI ANCHE I DATI DELLA CARITAS

Allarmanti anche i dati della Caritas  italiana sulla povertà. Dopo la rottura dei rapporti coniugali, tanti sono i papà a chiede aiuto e dichiarare di non riuscire a provvedere all’acquisto dei beni di prima necessità.  Molte sono le conseguenze della separazione. Aumenta il ricorso ai servizi socio-assistenziali del territorio come anche la crescita di disturbi psicosomatici. Molti di loro accusa un più alto numero di sintomi rispetto alla pre-separazione. Inoltre, la separazione incide negativamente nel rapporto padri-figli. Molti dei padri  rispetto alle donne riconosce un cambiamento importante a seguito della separazione; tra i padri che riconoscono un cambiamento peggiorativo nella qualità dei rapporti, le madri, al contrario, riconoscono per lo più un miglioramento. Gli elementi che rendono particolarmente insoddisfatti i padri nel rapporto con i figli sono: la frequenza di incontro, gli spazi di vita e i luoghi di incontro, il tempo da dedicare alla relazione, la possibilità di partecipare a momenti importanti quali compleanni, ricorrenze, feste. Sono quasi tutte di nazionalità italiana le richieste di aiuto. Tra i separati/divorziati che si sono rivolti ai centri di ascolto della Caritas la gran parte è di nazionalità italiana. Molti sono coinvolti in separazioni legali, in separazioni di fatto e in procedimenti di divorzio. Dei procedimenti di divorzio quasi la totalità risulta ormai anche conclusa. Due terzi ha figli minorenni da mantenere.

L’ultimo rapporto 2017 sulla povertà giovanili ed esclusione sociale in Italia ci dice che in Italia vivono in uno stato di grave povertà 4 milioni 742mila persone (il 7,9% dei residenti), un totale di 1 milione e 619mila famiglie (pari al 6,3% dei nuclei familiari). In termini percentuali nell’ultimo decennio si è registrato un incremento del 165,2% del numero dei poveri. nel nostro Paese la povertà tende cioè a crescere al diminuire dell’età.  Dati ancora più allarmanti  se consideriamo anche la situazione dei minori; in Italia se ne contano 1 milione 292 mila che versano in uno stato di povertà assoluta (il 12,5% del totale; nel 2015 erano il 10,9%). All’interno delle famiglie dove sono presenti tre o più figli minori la situazione è particolarmente critica: l’incidenza della povertà assoluta sale infatti al 26,8%, coinvolgendo così quasi 138 mila famiglie e oltre814mila individui. In Italia vivono in uno stato di povertà assoluta 2 milioni 309 mila giovani e minori (0-34 anni), che corrispondono quasi alla metà di tutti i poveri della nazione (il 48,7%).

Il problema abitativo in Italia rappresenta una delle emergenze sociali di maggiore entità. È un fenomeno di disagio trasversale, che coinvolge certamente tutte le generazioni, anche se tra i giovani la difficoltà di accedere al bene casa determina una serie di ripercussioni, di particolare gravità, a livello del proprio progetto di vita, personale e familiare. In termini di genere anche nel 2016 il rapporto informa che a chiedere aiuto sono sia Uomini che donne.  Oggi in molte zone, per lo più del Nord del Paese, l’incidenza degli uomini risulta maggioritaria. Delle persone incontrate il 64,4% risulta genitore.  Tra gli utenti Caritas le persone senza dimora rappresentano complessivamente il 17,8% del totale; in termini assoluti si tratta di circa 26 mila individui, per lo più uomini (74,0%), stranieri (67,4%), celibi (45,0%) e senza figli (53,3%), incontrati soprattutto nei CdA del Nord Italia (65,8%).

L’aumento del peso del genere maschile è da attribuirsi al problema lavoro, che in questi anni di crisi economica sembra aver penalizzato ancor più gli uomini rispetto alle donne. Il tassodi disoccupazione maschile infatti è più che raddoppiato in questi anni di crisi (dal 2007 al 2016 è passato dal 4,9% al 10,9%); per le donne al contrario, l’incremento è stato meno marcato (dal 7,8% al 12,8%). Sembrano diminuire le situazioni che indicano, almeno in termini generali, una maggiore stabilità familiare e relazionale; al contrario, risultano in aumento le situazioni che possono coincidere con una maggiore precarietà e vulnerabilità: nuclei mono-genitoriali e famiglie unipersonali.

Rispetto al totale degli intervistati, molti hanno figli minorenni; su questi ovviamente grava un peso materiale e sociale più pesante, sia in termini di cura che di mantenimento. Per quanto riguarda l’età si tratta in particolare di persone nella fascia d’età centrale (45-54 anni) e di giovani adulti (35-44 anni). Per quanto riguarda il livello di istruzione, prevale la licenza media inferiore (43,2%) seguita dal diploma di licenza media superiore (17,4%), dalla licenza elementare (17,3%) e dal diploma professionale (9,1%), segue la laurea a 4,8%. Le motivazioni che hanno spinto gli utenti a chiedere aiuto sono svariati: povertà economica (76,7%), problemi di occupazione (56,8%), problemi abitativi (24,1%), problemi familiari (14,0%), problemi di salute (12,4%). Alte le percentuali di disoccupazione (64%). Gli occupati intervistati sono pochi (14, 5%). La grave situazione sul fronte dell’occupazione è l’elemento che maggiormente condiziona il post separazione.

I livelli di disoccupazione, infatti, risultano alti sia per i maschi  che per le femmine. Criticità anche sul piano della sistemazione abitativa. Anche la dimensione abitativa evidenzia delle situazioni di gravi criticità vissute sia sul piano della sistemazione che su quello del grado di affaticamento rispetto agli oneri di spesa fissi (mutuo, affitto, pagamento delle utenze di luce, gas). Prima della separazione la maggior parte dei genitori vive in abitazioni di proprietà o in affitto, dopo la separazione la situazione si altera e sono per lo più gli uomini a cambiare abitazione.

Massimiliano Gobbi