Home » Ultime Notizie » “Dillo qui” lo spazio dove i ragazzi si aprono senza essere giudicati: La storia di A.

“Dillo qui” lo spazio dove i ragazzi si aprono senza essere giudicati: La storia di A.

Pubblicato il

E’ passato poco più di un anno dall’inizio della pandemia. Una pandemia che ha messo in ginocchio tutto il mondo. Una pandemia che ha portato via cari, affetti, parenti e amici. Una pandemia che, inoltre, ha fatto perdere la speranza a molti, moltissimi giovani. E mentre si è concentrati a trovare la soluzione magica per risanare l’economia nazionale, sempre più ragazzi restano in silenzio e subiscono, senza proferire parola. Il motivo? Quando e se dovessero decidere di farlo, verrebbero additati come “deboli”, “rompiscatole” o, peggio ancora, “viziati“.

Leggi anche: La storia di S: “Ho 22anni. Vivo un misto di solitudine, rabbia e preoccupazione. Il futuro è buio.”

Quando il confronto è troppo grande

Spesso quando si cresce, si tende a dimenticare come si pensava quando si era giovani, quando si avevano vent’anni, le speranze erano tante e le possibilità ancora di più. Ora, con la pandemia, molti ragazzi hanno perso la speranza. Chiusi in casa, si sentono soli e devono fare i conti con il loro “Io“, e molti, purtroppo, non reggono il confronto. Difatti, negli ultimi 365 giorni il tasso dei suicidi è aumentato del 30%. 

Noi del “Corriere della Città”, vogliamo dare la possibilità, a questi ragazzi, di far sentire la propria voce. Lo spazio a loro dedicato si chiama “Dillo qui”. Uno spazio dove giovani, ragazzi, studenti e studentesse, hanno la possibilità di sfogarsi, aprirsi e far sentire la propria voce senza essere giudicati.

Leggi anche: La storia di F: “Ho 22anni. Avevo un tumore. Soffro di ansia e depressione. Ora la forte sembro io.”

La lettera di A. 

Questa è la storia di A., un ragazzo di 26 anni, il quale ha avuto il coraggio di aprirsi con noi.

“Ciao, sono un laureando di Lettere Moderne presso l’università di Roma 3, ho 26 anni ed è molto tempo che mi trascino dietro un peso a cui non saprei dare nome. Ho letto il vostro appello su Spotted Roma 3 e ho pensato di parlarne in forma anonima con qualcuno per la prima volta. Per me scrivere di questo è difficile su più livelli, prima di tutto perché non riesco a capirne l’origine, in quanto a differenza di altre persone (anche a me vicine) non ho mai subito traumi né perdite che abbiano scombussolato la mia vita. Sono tra i più fortunati: provengo da una famiglia amorevole che mi ha sempre sostenuto (anche troppo forse) e da un ambiente tutto sommato positivo. Ciononostante ci sono dei periodi in cui qualcosa di davvero pesante mi trascina giù, togliendomi la forza di fare anche le cose più semplici della quotidianità, impedendomi di coltivare le mie passioni e i miei studi, di tessere rapporti con altre persone anche quando sono amici di lunga data o parenti. Ho amici che mi vogliono bene ma con cui non sempre riesco a comunicare come vorrei e sento che è colpa mia e tutto questo contribuisce a isolarmi di più nel mio smarrimento. È un qualcosa che non riesco a controllare e che mi porto dentro ormai da almeno 6 o 7 anni. In passato si manifestava anche con attacchi di panico e di pianto ma per fortuna, oggi, ho imparato a controllarli e solo nel dormiveglia e in periodi di grande stress riprendono. Di quel poco che ho capito di tutto questo, credo che la maggior responsabilità sia dovuta all’università e alle poche prospettive di futuro che ho davanti. Il futuro mi terrorizza. So che può sembrare un cliché e una giustificazione, ma quando cerco di farmi dei progetti come facevo da ragazzino, al liceo, mi vengono le vertigini e devo distogliere il pensiero. Quando mi iscrissi all’università e scelsi lettere lo feci per passione e perché amo ciò che studio. I primi risultati furono molto positivi ma qualcosa cominciò a incrinarsi quando ho cominciato a scontrarmi con la realtà, rendendomi conto che le passioni non bastano, che persino i professori ci dicevano che non avremmo trovato lavoro nell’ambito degli studi umanistici. Più volte ho pensato di lasciare l’università ma, nonostante tutto, l’amore per ciò che studiavo mi spingeva a rimanere. Tutto questo si riflette nella mia vita quotidiana e sociale, non riesco più a interagire con le persone né a costruire rapporti di alcun tipo. Credo di essere diventato dipendente dal cyber sex (è la prima volta che lo ammetto ad alta voce) e mi fa sentire malissimo ed è ancora più umiliante quando cerco di smettere ma non riesco, perché è l’unico modo che ho di interagire sessualmente con altre persone. A 26 anni è davvero umiliante e imbarazzante e ovviamente non ne ho mai parlato con nessuno. Tutto questo si protrae da anni, quotidianamente, incessantemente. Il Covid all’inizio ha intensificato tutto questo, poi (paradossalmente e tristemente) mi sono reso conto che, per me, non è cambiato molto rispetto al pre-pandemia e mi sono ritrovato quasi a mio agio nel malessere generale che ciascuno di noi ha provato durante i lockdowns. Non credo di essere riuscito a spiegare bene tutto, a parole è difficile. Più volte negli anni mi sono riproposto di rivolgermi a qualcuno per uscire da tutto questo, ma mi sentivo in colpa perché in fondo questi non sono veri problemi se messi in prospettiva rispetto a ciò che succede fuori, soprattutto negli ultimi tempi. Mi sentirei di rubare spazio a chi ne ha bisogno e in ogni caso non so se riuscirei a parlare così liberamente faccia a faccia con un’altra persona. Ho deciso di scrivere questa e-mail perché penso che, arrivato a 26 anni, sia giunto il momento almeno di fare un primo passo, di sbloccarmi e riuscire finalmente ad andare avanti, per quanto mi possa far paura farlo. L’anonimato mi ha dato sicuramente coraggio, vi ringrazio.”

Impostazioni privacy