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Psicologia, spazi ridotti e perdita di sé stessi: la continuità spezzata

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Dov’è finito il nostro spazio? Quali sono le nostre passioni? Quando vediamo gli amici? Cosa facciamo per noi stessi?

 

La strada smarrita 

La vita è un lungo percorso ricco di eventi, camminiamo lungo la strada attraversando tante esperienze che ci arricchiscono e ci maturano, ma portano via pezzetti di noi stessi: a chi non è mai capitato di sentirsi perso, di non ritrovarsi, di non sentirsi più, di guardarsi allo specchio e non riconoscersi?

Viviamo in una società veloce, accelerata. Siamo concentrati sulla casa, sui figli, sul partner, sul lavoro. Unico obiettivo giornaliero: mettersi a letto e dormire.

 

Dove siamo finiti?

Purtroppo (o per fortuna) la vita ci costringe a cambiamenti duri, un’onda improvvisa si porta via tutte le nostre abitudini e certezze quotidiane e in un giorno qualunque accade qualcosa che interrompe la routine e l’assetto si stravolge: la fine di un amore, un lutto, la perdita del lavoro, i figli ormai cresciuti non hanno più bisogno di noi.

Spiazzati dinanzi a nuovi scenari ci accorgiamo di essere diversi da ciò che eravamo; ci sentiamo stanchi, vuoti, appesantiti, invecchiati.

Il tempo e gli eventi creano strappi nella trama della nostra esistenza, la comunicazione con noi stessi s’interrompe, il ponte tra passato e presente crolla. La sensazione più comune è il non sapere cosa siamo diventati: guardando una vecchia foto o ricordando un episodio della nostra vita ci sembra tutto così lontano e perso.

 

Il disagio

Proviamo a ricordare la prima cosa che facevamo a scuola, appena seduti nel banco: apertura della cartella e posizionamento del quaderno, dei libri e del borsello con le penne. Bene, in quel momento stavamo prendendo il nostro spazio che al massimo potevamo condividere con il compagno più intimo: ricordate la sensazione di rigidità e chiusura nel caso ci cambiavano di posto?

E’ esattamente questo che accade quando mettiamo da parte i nostri bisogni nella velocità delle attività giornaliere: sensazione di oppressione, di chiusura e limitazione, movimenti spezzati a metà, respiro corto, pensieri che non arrivano a domani.

Abbiamo ridotto il nostro spazio, le scelte e l’espansione per metterci a disposizione degli altri.

 

Cosa accade esattamente?

Una mamma troppo ansiosa può creare allarme e bloccare il bambino nelle sue esplorazioni; una troppo rigida sortisce il medesimo effetto.

Le alterazioni non nascono tutte nell’infanzia.

Nel lavoro la poca assertività, la poca fiducia in se stessi permette all’altro di prevaricarci. Non da meno sono i rapporti interpersonali, l’essere sempre disponibili o eccessivamente tolleranti crea l’invasione da parte del partner nel nostro spazio, i limiti di entrambi si fondono: l’idea romantica dell’amore come fusione è assolutamente deleteria per il nostro e altrui benessere, il risultato reale è una giornata piena di impegni, perlopiù in funzione dell’altro, la falsa illusione di essere unici, il perno della casa.

 

Apriamo il corpo!

Il movimento del bambino nell’utero è una delle prime azioni innate: si allarga comunicando alla mamma il prendere spazio nel piccolo mondo in cui si trova. Il bambino soprattutto nelle ultime settimane sente il bisogno di espansione.

Il prendere spazio è un’esperienza che facciamo da subito e ci portiamo per tutto il corso della nostra vita: nel rapporto con i genitori, durante l’adolescenza soprattutto, cresce la necessità di uno spazio privato; nel mondo del lavoro continuiamo a volere spazio per le nostre idee, interventi o iniziative; nelle relazioni interpersonali, spazio per gli amici, per le passioni, per i pensieri autonomi.

Il funzionamento di apertura è presente anche nel mondo animale: usuale infatti vedere movimenti di allungamento nel gatto, il restare «spaparanzati», l’andarsi a trovare un angolo della casa per stendere i muscoli al massimo.

 

Riprendiamo la continuità con quello che eravamo

Prendiamoci del tempo per noi, senza alcuna fretta. Rimettiamo fuori vecchie foto, vecchi dischi, vecchi vestiti e oggetti. Apriamo il baule in soffitta e buttiamoci dentro, piano piano, senza correre. Se alcuni ricordi ci fanno male, tranquilli. Possiamo chiudere e riprendere tra qualche giorno, un po’ per volta ci avviciniamo alle sensazioni, accogliamo le emozioni e le attraversiamo.

Gli odori e i sapori della nostra prima giovinezza, quella torta che ci faceva la nonna, il piatto preferito della mamma, l’odore buono del papà, i compagni di classe, le vacanze estive: carichiamo una lista musicale, portiamola con noi in auto o mentre siamo a casa.

Chi c’era con noi, cosa facevamo e dove eravamo? Cosa ci rendeva allegri? Uno sport? Gli amici? Le passeggiate in bici? Ballare?

 

Come prima cosa ci siamo noi

La vita è cambiamento, un continuo movimento. Non si può tornare indietro, ma possiamo ricucire quello strappo nelle emozioni, ritrovarci in esse per ritrovarci in noi.

Avere la forza di liberarsi da qualcosa che ci opprime.

Portare i movimenti all’azione.

Crearsi un contenitore per riconoscersi, progettare e fare.

Rispettare e far rispettare i limiti del nostro spazio, senza altrui invasioni.

Permettiamo al nostro diaframma di espandersi fino in fondo per regalarci una carica di ossigeno che ci attraversi dalla testa ai piedi!

 

Se volete raccontarmi le vostre storie per sciogliere insieme qualche nodo disfunzionale, scrivete all’indirizzo: psicologia@ilcorrieredellacitta.it

Vi aspetto.

Dott.ssa Sabrina Rodogno

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