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Roma, alunno autistico del Tacito lascia la scuola: ”Hanno paura di lui”

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Nuove regole dress code a scuola

Roma. Un ragazzo di soli 17 anni. Studente del secondo anno del liceo linguistico. Era uno studente. L’imperfetto, almeno per il momento è obbligatorio, non perché sia decaduto il suo status, ma perché è ormai un mese che non va più a scuola. Neppure ha potuto frequentare lo stage a Siviglia coi suoi compagni. Ma perché tutto questo? Ecco di seguito il racconto che proviene direttamente dalle pagine di Repubblica. 

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La storia del ragazzo autistico del Tacito a Roma

La sua è una storia che arriva direttamente dal liceo Tacito: il 17enne è un ragazzo autistico, il quale, dopo aver trascorso e passato con tranquillità i precedenti cicli scolastici, ora però ha trovano diversi problemi. Le passioni, quelle per le lingue, la cucina, la matematica, continuano a bruciare dentro di lui, senza sosta, ma parallelamente ci sono anche i problemi. Problemi a relazionarsi con gli altri all’inizio di una nuova conoscenza ad esempio. Problemi nel sentirsi accettato, nel potersi esprimere liberamente, nel modo che lui predilige, anche correndo e muovendo le mani quando si sente agitato. Nonostante tutte queste difficoltà, il ragazzo non demorde mai: sin da quando aveva tre anni viene seguito con la tecnica Aba – analisi applicata del comportamento, e i primi cicli scolastici non sono un problema per lui. Intanto, si appassiona sempre di più alle lingue, e i prof gli consigliano il linguistico. 

L’inizio dei problemi al liceo linguistico

Il primo anno prosegue tranquillo. Come spiega la mamma, con parole riportate dall’edizione romana di Repubblica: “Il prof di sostegno si affida alle persone che seguono Edoardo, si crea fin da subito uno stupendo legame coi suoi compagni, attenti alle sue esigenze”. Ma i problemi, quelli seri, iniziano a partire dal secondo anno: “Il nuovo docente di sostegno, incapace di gestire ogni tipo di problematica, aveva paura di mio figlio e lui lo percepiva, tanto che solo alla sua vista iniziava ad agitarsi, provocando grande confusione in classe e con l’inevitabile rientro a casa contro la sua volontà”. Arriva anche una nuova docente di sostegno, ma le cose continuano ad andare male. Il ragazzo continua ad avere episodi di rabbia, lancia uno zaino per aria, rompe il dispenser di un igienizzante, la famiglia viene chiamata più volte per riportarselo a casa. 

La gita a Siviglia con i compagni di classe

E, poi, arriva l’apice, quando c’è il momento dello stage linguistico a Siviglia. Alla classe viene proposto un soggiorno in famiglie del posto, con la frequenza durante la mattina all’interno di una scuola. Al ragazzo, però, non vengono prospettate le stesse condizioni degli altri ragazzi. Così, la madre si offre di accompagnarlo, nonostante la consapevolezza che il figlio avrebbe potuto frequentare i compagni solamente in modo limitato. Lo stesso ragazzo, però, si rifiuto: “Questa deve essere una gita coi compagni, non una vacanza con te” dice alla madre. Alla fine, lui, non parte. La madre contatta la preside, la quale convoca subito una riunione d’emergenza dalla quale la mamma del ragazzo ne esce mortificata:  “Mi viene chiesto perché io e le persone che ci assistono avessimo scelto questo percorso così difficile per mio figlio, mi è stato detto che non riescono a far lezione e che hanno paura di stare alla lavagna di spalle quando lui è in classe, che hanno paura a rapportarcisi, che non è portato per le lingue e che è triste quando è in aula”. Così, il ragazzo smette di frequentare la scuola.

Le parole della dirigente sul caso

La dirigente dell’istituto conferma, ad ogni modo, che “dopo un anno andato benissimo, questo non è partito con lo stesso ritmo”. Anche perché, continua, ci sono nuove variabili, come la presenza ”della crescita e delle rigidità che aumentano”. Poi, assicura che la scuola “ha sempre cercato di fare rete con la famiglia, anche quando i docenti hanno ricevuto calci, ceffoni e sputi dal ragazzo, gesti ovviamente inconsapevoli”. Un problema che, quanto pare, sembra coinvolgere l’interno sistema scuola a questo punto, perché non tutti i docenti, ad oggi, sono preparati alla gestione di casi come questo. Gestire il caso durante una gita all’esterno, sarebbe stato molto complesso senza gli strumenti adatti: “Per noi gestirlo in aereo o nella scuola di Siviglia sarebbe stato impensabile. Il suo è un caso particolare e delicato, mi rendo conto del senso di frustrazione della famiglia”.

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