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Roma, malati psichiatrici allo sbando: carenza di medici e degrado

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Roma - Santa Maria della Pietà

Trentacinquemila abitanti. E tutti sani di mente. O almeno questo sembrano presupporre politici e amministratori del 14° Distretto e degli enti preposti a giudicare dalle scarse risorse investite nel settore e dal numero ridotto all’osso dei punti di riferimento per il disagio psichico nella zona.

E mentre sul presidio del Santa Maria della Pietà – il più grande manicomio d’Europa situato a Roma nord (ma anche il primo a chiudere con la legge 180 voluta da Franco Basaglia) si continua a discutere se trasformarlo in un centro socio-culturale o un punto di aggregazione per i giovani, i “matti” restano “slegati” come avrebbe risposto 50 anni fa lo stesso psichiatra veneto insieme alla storica frase “mi no firmo” rivolta all’ispettore capo Pecorari che i degenti più agitati voleva incatenarli al letto.

Malati psichici in balia di sé stessi

Da un estremo all’altro. Oggi i malati psichici sono lasciati in balìa di sé stessi e dei loro demoni. E quei famosi “matti” si mescolano tra la folla dei “normali”, vagano nelle stazioni ferroviarie e nei sotterranei delle metropolitane, chiedono l’elemosina sui marciapiedi, infastidiscono i passanti. Nella peggiore delle ipotesi tentano il suicidio o sfogano la loro rabbia o follia sul malcapitato di turno, riempiendo le pagine di cronaca nera.

Ma il vero scandalo, quello che colpisce gli occhi e il cuore, sono quei due Centri di Salute Mentale (via Gasparri e Via Ventura)  immensi e perennemente deserti, dove si percorrono decine e decine di metri negli interminabili corridoi paragonabili alla celebre scena del triciclo di Shining, senza incontrare nessuno. Uffici vuoti, sale d’attesa dove ad aspettare non c’è anima viva, personale medico e paramedico assente. Due cattedrali nel deserto immerse nel nulla, difficili da raggiungere a piedi come con i mezzi pubblici per chi viene da Monte Mario e zone limitrofe. 

Difficile prendere appuntamenti

Prendere un appuntamento, poi, è un’impresa, anche solo per una visita di controllo o per calibrare la posologia di un farmaco e confermarne la validità. Con le ricadute a livello individuale ma anche sul piano sociale, che tutti possiamo immaginare, data la fragilità dei pazienti in questione. 

“Sono stata costretta a pregare l’operatore che mi ha risposto al telefono per ottenere questo appuntamento”  – afferma una signora visibilmente scossa, l’unica nella quale ci siamo imbattuti all’uscita del Centro di Via Ventura. Ho dovuto raccontargli cose personali e private per poi sentirmi dire che mi avrebbe passato qualcuno al triage”. 

La testimonianza

Una volta ottenuto, e con insistenza, un colloquio, la donna ha nuovamente dovuto narrare tutta la sua storia personale e clinica a due infermieri, i quali le rispondevano che se il medico si liberava avrebbe potuto concederle un paio di minuti. Altrimenti sarebbe stata richiamata per fissare un nuovo appuntamento. “Ma dove sono tutti questi pazienti? Lei li vede? – ci chiede ansiosa la signora – qui ci sono solo io! O sono io che ho le traveggole?”

No, la signora non ha le allucinazioni. Di fatto in quella hall disabitata ci siamo solo lei ed io.  Al medico di turno, che ci richiama dopo due giorni, chiediamo che succede. E perché un servizio così importante sembra fare acqua da tutte le parti. “Nel triage noi gestiamo l’emergenza, ma non l’urgenza. Se c’è una vera e propria urgenza ci sono gli ospedali”. Risposta tutt’altro che rassicurante, considerato quello che siamo abituati a vedere nei punti di pronto soccorso degli ospedali romani.

45 anni dall’approvazione della legge

E poi il solito sfogo: “Manca il personale. Otto medici per un bacino di utenza così vasto, sono davvero pochi – dichiara lo psichiatra che chiede di restare anonimo – e da anni non si fanno più assunzioni”. Ricorrono due giorni fa, 13 maggio, 45 anni da quel fatidico giorno in cui fu approvata quella legge che avrebbe dovuto restituire ai malati nuova dignità. 

Intanto i 27 ettari del santa Maria della Pietà sono da anni abbandonati al degrado, intere parti dell’edificio cadono a pezzi. E un paio di padiglioni sono stati addirittura occupati da abusivi. Che fine hanno fatto – viene da chiedersi – gli oltre 50 milioni destinati alla riqualificazione del nosocomio e ai tanti progetti socio-assistenziali? In base alla documentazione della commissione capitolina PNRR, ottenuta dal settimanale L’Espresso, nel solo ultimo anno i costi dei lavori sarebbero lievitati di quasi dieci milioni di euro. Senza che sia stato avviato neanche un cantiere. 

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