MM, il proprietario di un bar nella zona di piazza Fiume a Roma, è attualmente sotto processo con l’accusa di violenza sessuale nei confronti di una giovane barista che aveva appena iniziato il suo periodo di prova. La difesa insiste sul fatto che il breve periodo di tempo trascorso nello spogliatoio, appena 90 secondi, non può configurare il reato di violenza sessuale.
Molestò la barista in prova nel suo bar a Roma: proprietario a processo
L’episodio incriminato risale al 16 giugno 2020, quando la giovane dipendente, proveniente da un piccolo paese di provincia, si trovava al secondo giorno di lavoro. Secondo l’accusa, il signor MM avrebbe chiuso la ragazza in uno sgabuzzino adibito a spogliatoio, iniziando a spogliarla e molestarla sessualmente. La vittima, difesa dall’avvocato Roberta Teodori, ha denunciato immediatamente l’accaduto ai Carabinieri.
Le indagini sulla violenza alla barista
La Procura contesta al titolare del bar due aggravanti: quella di aver commesso il fatto “con abuso di relazioni di ufficio”, essendo lui il datore di lavoro, e quella di aver abusato della giovane mentre “era sottoposto a limitazione della libertà personale” all’interno dello spogliatoio. I filmati delle telecamere interne al locale, acquisiti dagli investigatori, sembrano confermare almeno in parte la versione della vittima. Si vede la barista entrare nello sgabuzzino con il titolare e uscirne circa 90 secondi dopo visibilmente scossa, senza il gilè della divisa e con la camicia parzialmente sbottonata.
La difesa del titolare del bar a Roma
La difesa dell’imputato, tuttavia, sostiene che il breve lasso di tempo in cui è avvenuto l’incidente non possa configurare una violenza sessuale. Questa linea difensiva richiama una recente sentenza del Tribunale di Roma che assolveva un imputato da un’accusa simile, sottolineando che “l’intera azione si concentra in una manciata di secondi”.
Quale verità dietro la presunta violenza sessuale a Roma?
La prossima udienza è fissata per il 3 maggio, quando il titolare del bar sarà chiamato a testimoniare e a fornire la sua versione dei fatti. Il processo mette in luce una delicata questione sulla valutazione del tempo nei casi di presunta violenza sessuale e solleva interrogativi sulla giustizia e le sue sfumature quando si tratta di episodi di breve durata.