Home » Ultime Notizie » Roma: «Sei handiccapato, vattene a casa, io mi devo allenare», le frasi choc al parco rivolte a un bimbo

Roma: «Sei handiccapato, vattene a casa, io mi devo allenare», le frasi choc al parco rivolte a un bimbo

Pubblicato il
bambino

La diversità è negli occhi di chi guarda. Di chi giudica, di chi con cattiveria è pronto a puntare il dito. Di chi, senza empatia e sensibilità, crede di essere superiore. Di chi si considera “normale”. Quando di “normale” forse non c’è nulla. Siamo a Roma, nel Parco Giancarlo Sbragia, è un sabato soleggiato e Manuel (nome di fantasia) che ha 9 anni sta giocando con i suoi amici. Una giornata come tante, all’aria aperta. Di quelle che ti fanno sentire felice con poco. Se non fosse che poi quella serenità viene “stravolta” da chi si arroga il diritto di insultare e criticare. 

Insultato al parco perché disabile 

Manuel è un bimbo con disabilità motoria e quel sabato stava giocando con gli amici nel parco, si stava “arrampicando” sulle sbarre di un attrezzo quando, improvvisamente, sono arrivati dei ragazzi con fisico allenato, tutti sui 20 anni. Volevano allenarsi lì, ma non hanno chiesto né per favore né per piacere ai bimbi se potevano spostarsi. Anzi. Uno dei ragazzi, infastidito dalla presenza dei più piccoli, ha iniziato ad allenarsi, quasi come a “impossessarsi” degli spazi, che non erano di certo di sua proprietà. Poi, come se non bastasse, ha pensato bene di insultare Manuel e di chiamarlo “handicappato”. A raccontare questa storia agghiacciante è stata la mamma del bimbo al quotidiano La Repubblica. 

“Mio figlio non riesce a muoversi velocemente ma stava provando a fare quel percorso. Manuel era felice come i suoi compagni, riusciva ad arrampicarsi e a scendere dall’altra parte, non faceva le capriole sulla sbarra ma giocava felice – racconta la madre – a quel punto quel giovane  ha cominciato a fagli dei gesti e poi si è rivolto con prepotenza per fagli capire che doveva allontanarsi. Mio figlio  non ha risposto, non può rispondere a parole, la sua disabilità non gli permette di farlo ma ha compreso perfettamente la brutalità di quelle offese”. Manuel ha continuato a giocare e ha sfiorato gli oggetti di quel ragazzo, posizionati in quel modo per “impedirgli l’unico percorso che poteva fare“. “Quel giovane ha iniziato ad inveire – racconta la mamma a Repubblica – pesantemente contro di lui e contro mio figlio dicendo che era ‘handicappato’,  che “non ci doveva stare lì” ma che doveva stare a casa”. 

Perché tanta cattiveria e maleducazione? La mamma di Manuel ha poi rivolto un pensiero ai genitori di quel ragazzo: “Vorrei tanto conoscervi e dirvi: la disabilità di mio figlio non l’ho scelta ma l’ho accolta e lotto ogni giorno per garantirgli un presente e un futuro degno di lui. Ma voi, genitori di quel giovane, lo avete subito un figlio del genere o avete perso qualche pezzo di quella che si chiama educazione e rispetto dell’essere umano?”.

Fino a che punto può spingersi l’essere umano? Perché parlare, giudicare, insultare senza pensare che alla fine siamo tutti uguali? Senza pensare che ognuno di noi abbia una storia, combatta una battaglia personale?  Forse, sarebbe il caso di essere gentili sempre. Perché non ferire è la normalità. Non la violenza gratuita. Non la cattiveria. O almeno, così dovrebbe essere. 

Impostazioni privacy