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Stress sul lavoro, 6 infermieri su 10 sono in burnout: a rischio la sanità italiana

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aggressione infermiera a Latina

Sono in prima linea per la salute e il benessere delle persone, ma tra i lavoratori più stressati in Italia. I professionisti sanitari sono i protagonisti dello studio condotto dall’Università di Genova-Fnopi: per l’indagine, il 45,2% sarebbe in burn-out sul lavoro. I risultati

Il 59% degli infermieri in servizio negli ospedali italiani è molto stressato e il 36% sente di non avere il controllo sul proprio carico di lavoro. Il 47,3% si percepisce “privo di energia” e nel 40,2% dei casi si ravvisa un esaurimento emotivo elevato. Il 45.4% ritiene che l’impegno professionale non lasci abbastanza tempo per la propria vita personale e familiare.

medici
Medici in fuga nel Lazio

 

È quanto emerge dallo studio BENE (BEnessere degli Infermieri e staffiNg sicuro negli ospEdali) realizzato dall’Università di Genova con il sostegno dalla Federazione nazionale degli infermieri (Fnopi) che affronta i reali motivi dello stress dei professionisti, collegandoli alle ricadute dirette nell’assistenza del sistema sanitario italiano.

Il 45,2% degli infermieri lascerebbe il lavoro per insoddisfazione

Alla domanda sulla possibilità di lasciare il lavoro in ospedale entro il prossimo anno a causa dell’insoddisfazione lavorativa, quasi la metà degli infermieri ha risposto in modo affermativo (45.2%).

Gli infermieri che lavorano in ambito ospedaliero in Italia sono oltre 165mila. Lo studio ha coinvolto un campione statisticamente valido di età media pari a 42.1 anni, 73% di genere femminile, presenti nei reparti di degenza di 38 presìdi ospedalieri del Paese e si è svolto tra giugno 2022 e luglio 2023 con l’obiettivo di indagare le principali variabili che impattano sul benessere dei professionisti e la sicurezza delle cure, in particolare dopo l’emergenza Covid-19. Perché il burnout degli infermieri si traduce in maggiori rischi per i pazienti.

Lo stress in pandemia, mancanza di crescita professionale e le retribuzioni troppo basse

L’esposizione a pazienti Covid-19 ha determinato un elevato livello di stress nel 46.4% degli infermieri. Il 38.3% ha dichiarato insoddisfazione lavorativa per svariati motivi: principalmente, a causa dello stipendio (77.9%) e della mancanza di opportunità di avanzamento professionale (65.2%). Il 43.4% ha descritto il proprio ambiente di lavoro come frenetico e caotico. Solo il 3.2% percepisce come “eccellente” la sicurezza del paziente nel proprio ospedale.

La carenza di personale è il motivo prevalente delle cure mancate (50%). Il 59% ha riferito di discutere, con il team, strategie per evitare che gli errori si ripetano. Solo il 27,7% ha affermato che le azioni della direzione dimostrano la sicurezza del paziente come massima priorità. 

“Una situazione”, sostiene Annamaria Bagnasco, dipartimento di scienze della salute Università di Genova, coordinatrice dello studio BENE, “che ha ripercussioni in cure mancate ed esiti clinici e ha un impatto sull’intenzione di lasciare il lavoro entro un anno che, nonostante le integrazioni di personale dovute alla pandemia non è migliorato”. Inoltre, c’è una correlazione anche sull’attrattività lavorativa, sull’assistenza del personale nei confronti del paziente. “Il motivo che viene generalmente dichiarato è che il personale sia insufficiente e manchi tempo per erogare queste attività”, prosegue Bagnasco, “ma il 98% degli intervistati dichiara di voler lavorare al massimo delle proprie competenze: è un elemento di consapevolezza, di desiderio di specializzare le competenze, di formazione”.

In Italia circa 8 pazienti in cura per ogni infermiere: 6 lo standard ottimale

Indipendentemente dal turno di lavoro, ogni infermiere assiste mediamente 8.1 pazienti contro uno standard indicato come ottimale di non più di 6.

In Europa, il personale infermieristico varia da 3.4 a 17.9 pazienti per infermiere e studi europei indicano che ogni paziente aggiuntivo per infermiere è associato a un aumento del 7% della mortalità a 30 giorni in ospedale e che i costi risparmiati superano il doppio del costo aggiuntivo per il personale infermieristico. Lo studio italiano RN4CAST@IT del 2015 aveva rilevato pre-pandemia che negli ospedali italiani l’organico medio era di 9.5 pazienti per infermiere, determinando un rischio maggiore di mortalità del 21% rispetto al rapporto un infermiere per 6 pazienti.

Tra le azioni per ridurre il burnout e migliorare il benessere, gli infermieri coinvolti nello studio hanno indicato l’aumento dei livelli di organico infermieristico, permettere agli operatori sanitari di lavorare al massimo delle loro competenze professionali, migliorare la comunicazione del team.

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“Lo studio dimostra che quello dell’infermiere è un lavoro usurante e su questa linea la riforma delle pensioni nella manovra 2024 rappresenta un rischio”, commenta Barbara Mangiacavalli, presidente della FNOPI, “Proprio per la storica carenza di organici, gli infermieri si trovano quotidianamente a dover andare oltre i normali di turni di lavoro. Quello che chiediamo”, chiarisce la presidente Fnopi, “è che vengano adottate soluzioni strutturali che, ovviamente, non ci portano alla soluzione domani, ma che possono costruire, nel tempo, nell’arco temporale di 5-8 anni, una professione infermieristica 2.0 capace di invertire la tendenza”.

L’effetto “missed care” (cure mancate) per il burnout

A causa degli alti livelli di stress, anche la qualità delle cure risente di questo disagio. Le “cure mancate”, intese come qualsiasi aspetto dell’assistenza richiesta al paziente che viene omesso o ritardato, sono strettamente correlate alla sicurezza dei pazienti e alla qualità dell’assistenza.

Le principali 5 cure mancate a cui va incontro la sanità italiana a causa del burn out di infermieri e professionisti sanitari sono la mobilizzazione del paziente (51.6%); lo sviluppo/aggiornamento dei piani assistenziali (51.4%); l’educazione al paziente/famiglia (50.6%); igiene orale (50.2%); comfort per il paziente (49%).

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