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Vittime degli adulti

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Orfani per violenza

Aiutatemi, mio marito mi minaccia di morte con un coltello a serramanico di 17 cm”.

Marianna Manduca è stata uccisa dal marito con il coltello che le aveva più volte mostrato, ripetendole ogni volta: “con questo ti ucciderò”.

Marianna di denunce ne aveva fatte 12, nonostante questo, muore il 3 Ottobre 2007 a soli 32 anni; ferito anche il padre che aveva provato a proteggere sua figlia con tutte le forze.

Secondo i giudici della Corte d’Appello, la donna non avrebbe potuto essere salvata: anche se fosse stata sequestrata tempestivamente l’arma del delitto, il marito l’avrebbe assassinata comunque”.

I tre figli, rimasti orfani, sono stati adottati da un lontano cugino e da sua moglie: Carmelo Calì e Paola Giulianelli, che di bambini ne avevano già tre.

Il caso ha ispirato un film Rai trasmesso nel Dicembre 2018 dal titolo: “I nostri figli” interpretato da Giorgio Pasotti e Vanessa Incontrada.

Le vittime “invisibili” della violenza domestica sono proprio loro, i figli che si ritrovano senza la mamma e con il papà in carcere, travolti dalla cronaca, sballottati tra una casa e l’altra, spesso divisi tra fratelli.

Oggi con l’aiuto della dottoressa Chiara Gambino, psicologa, psicoterapeuta e mediatrice familiare, raccontiamo questa difficile vicenda, purtroppo, nè prima e nè ultima.

1. Dottoressa, come si è avvicinata all’associazione di Marianna Manduca?

Circa quattro anni fa ero stata invitata in qualità di psicoterapeuta alla trasmissione “A sua Immagine” su rai 1 per commentare come i figli vittime di violenza assistita e orfani di femminicidio potessero elaborare traumi tanto gravi. Durante quella trasmissione conobbi in studio la coppia dei coniugi Paola Giulianelli e Carmelo Calì, invitati a raccontare la loro storia di genitori adottivi di tre bambini a cui il padre aveva ucciso la loro mamma in un paesino della Sicilia. Di questa coppia di genitori mi colpì da subito il loro straordinario coraggio nell’accogliere con amore incondizionato nella propria famiglia questi tre bambini, pur avendo loro già altri tre figli naturali. L’umanità e l’umiltà che traspariva da ogni singola loro parola e la reciproca simpatia che da subito si è instaurata tra me e questa coppia, ha fatto si che rimanessimo in contatto in questi anni tramite Facebook. Un giorno Carmelo Calì mi chiamò per parlarmi della sua intenzione di voler fondare un’associazione in ricordo di sua cugina Marianna Manduca, la mamma dei bambini da loro adottati. Lo scopo dell’Associazione voleva essere quello di realizzare una serie di progetti in ambito scolastico, finalizzati a prevenire la violenza di genere e sensibilizzare le giovani coscienze ad una cultura basata sul rispetto e la parità di genere all’interno delle relazioni. Ho dunque accolto con entusiasmo la proposta ed ho collaborato attivamente alla stesura dei progetti di prevenzione ed alla loro implementazione in diverse scuole medie e superiori d’Italia.

2. Ci può raccontare la storia di questa donna?

Marianna Manduca era una donna siciliana sensibile, dolce e forte allo stesso tempo, era una mamma di tre figli, amava la pittura e la scrittura, voleva lavorare e desiderava auto realizzarsi come mamma e come donna. Purtroppo sposò un uomo violento che per anni usò violenza fisica e psicologica nei suoi confronti anche di fronte agli occhi innocenti ed impotenti dei loro figli. Marianna spinta dalla ferma volontà di proteggere i suoi figli ed uscire definitivamente dalla spirale della violenza denunciò il marito ben 12 volte, cercando disperatamente aiuto e protezione dalle Autorità e spiegando più volte che il marito l’aveva picchiata e minacciata di morte. Nel 2007 purtroppo la donna è stata uccisa a coltellate dal marito Saverio Nolfo, lasciando tre figli orfani di madre di 6, 5 e 3 anni. I bambini furono prima dati in affido dal Tribunale a Carmelo Calì, cugino di Marianna, ed alla moglie Paola Giulianelli. La coppia decise di prendersi cura dei nipoti pur avendo già tre figli naturali, per poi adottarli dopo un anno.

3. Si parla poco dei figli delle vittime, in questo caso ci sono battaglie legali di cui è stata fatta una fiction: cosa accade in genere ai figli orfani?

I figli che assistono alla violenza perpetrata dal padre sulla propria mamma o che assistono a violenze su altri minori e/o altri membri della famiglia, o su animali domestici, o danni a cose, o che sono loro stessi direttamente vittime di maltrattamenti fisici e psicologici all’interno delle mura domestiche o che nella peggiore delle ipotesi diventano orfani di madre, subiscono sempre e comunque un grave trauma anche quando all’adulto sembra che il minore non abbia capito, visto o sentito. Il danno psicofisico è molto grave e si verifica sempre anche nei casi in cui il bambino non manifesta un sintomo immediato. I bambini hanno una propensione innata a cercare la vicinanza protettiva da parte degli adulti che si prendono cura di lui e la qualità di questa relazione plasma l’espressione innata dell’attaccamento del bambino e la rappresentazione mentale di sé, dell’altro e della relazione. Quando i genitori sono coinvolti in dinamiche violente, non sono di certo in grado di rispondere alle naturali paure ed angosce del bambino attraverso la protezione, la rassicurazione e l’affetto, in modo coerente e sistematico. Le ferite dei figli vittime di violenza si possono elaborare attraverso percorsi terapeutici adeguati e specifici oltre che da altre esperienze correttive, come nel caso dei tre figli di Marianna accolti ed accuditi con estremo amore e pazienza dai coniugi Calì. Se queste ferite nel corso della crescita non vengono sanate, questo sarà il presupposto per generare nel bambino insicurezza, scarsa autostima, fragilità nell’affrontare eventi critici futuri e comportamenti disadattivi o patologici in età adulta, con il rischio di assumere ruoli di vittime o di maltrattanti nelle loro future relazioni. La fiction “I nostri figli” andata in onda su Rai 1 nel dicembre 2018 con Vanessa Incontrada e Giorgio Pasotti, regia di Andrea Porporati e sceneggiatura di Andrea e Maria Porporati e di Mauro Caporiccio, descrive la storia di Marianna, dei suoi figli e della lunga battaglia legale che i coniugi Calì con grande coraggio e determinazione hanno dovuto intraprendere per far emergere verità e giustizia. Nel 2017 i Giudici del tribunale di Messina riconobbero la responsabilità civile dei magistrati, rimasti inermi di fronte alle denunce presentate all’epoca dalla donna, e disposero nella sentenza di primo grado un risarcimento ai tre figli. Purtroppo nel 2019 uscì la sentenza della Corte d’Appello di Messina in cui si decide di annullare il risarcimento. Secondo i giudici della Corte d’Appello, la donna non avrebbe potuto essere salvata: anche se fosse stata sequestrata tempestivamente l’arma del delitto, il marito l’avrebbe assassinata comunque. Per tale motivazione la Corte d’appello di Messina prescrive il ritiro del risarcimento. La battaglia legale è ancora in corso ed è guidata dagli straordinari avvocati Luigi Galasso e Licia D’Amico.

4. Come mai alcune vittime di violenza diventano degli “emblemi” ed altre vanno nel dimenticatoio?

Alcune vittime diventano degli emblemi perché nel corso della loro drammatica storia hanno avuto la possibilità di incontrare persone speciali come nuovi genitori adottivi, avvocati, psicologi, assistenti sociali, insegnanti, giornalisti, parenti o altre figure di riferimento che le hanno sostenute, guidate, protette, che hanno restituito loro la dignità ed il pieno diritto a vivere. Queste figure “riparative” spesso si prendono a cuore la vita di queste vittime, come hanno fatto gli straordinari genitori adottivi Carmelo e Paola Calì e tutta la rete delle figure che hanno ruotato intorno alla loro vicenda e che hanno gridato alla società intera l’inammissibilità della violenza. Tante altre vittime purtroppo si ritrovano completamente sole e non sostenute dalle Istituzioni, rimanendo pertanto in ombra, ma non per questo sono meno meritevoli di essere ricordate o aiutate. La violenza si nutre di silenzi e solitudini, di cui la società intera si deve sentire responsabile ed è per queste ragioni che nelle diverse comunità di appartenenza si ha sempre più bisogno di figure che possano gridare giustizia e che possano farsi portavoce di una nuova cultura di genere e di nuove politiche e normative che prevengano la violenza e che sostengano le vittime di violenza. Questi sono infatti gli intenti principali dell’Associazione Insieme a Marianna impegnata costantemente in opere di informazione e di educazione delle giovani generazioni al rispetto e alla cooperazione tra i generi, di protezione dei soggetti più deboli nelle relazioni familiari e personali.

5. Quali consigli da alle donne che vivono una situazione di violenza?

Le donne che vivono all’interno di relazioni intime violente sono spesso ridotte in uno stato di isolamento e di depauperamento a livello psicologico, fisico ed economico. La loro vita è dominata dalla paura, dalla vergogna e dalla convinzione spesso di essere sbagliate. Quando si è risucchiate dalla spirale della violenza, uscirne fuori e spezzare questi cordoni malati, di certo non è cosa facile. Spesso sono i figli di queste donne che rappresentano la leva per trovare il coraggio di chiedere aiuto. Il consiglio è comunque quello di rompere il muro della vergogna e del silenzio e di poter parlare di ciò che accade nel segreto delle mura domestiche, iniziando a confidarsi con un’amica o con qualche figura che ispiri fiducia, che può essere rappresentata dal medico di famiglia, dal pediatra, dalla ginecologa, o dagli insegnanti dei figli. Qualcuno che possa ascoltare ed accogliere quella sofferenza e che possa fungere da ponte per motivare la donna a chiedere un aiuto più strutturato ed efficace alle forze dell’Ordine ed ai servizi psicosociosanitari territoriali. Spesso le donne che vivono all’interno di relazioni vittimizzanti non sono consapevoli di queste dinamiche che ai loro occhi di frequente sono considerate come “condizioni normali”. L’aiuto che va offerto loro oltre a quello legale ed economico è anche di tipo psicologico, affinchè possano elaborare i traumi e comprendere quali siano i meccanismi psicologici inconsci che le hanno guidate involontariamente a rimanere intrappolate in relazioni vittimizzanti, al fine di prevenire il rischio di cadere in futuro in altri legami di quel tipo. Le donne nel rispetto dei loro tempi devono anche essere aiutate a comprendere che la gelosia eccessiva, la possessività, le continue umiliazioni, il controllo serrato della libertà, le minacce e le percosse che subiscono, sono sempre azioni inammissibili e ingiustificabili.

Se volete raccontarmi le vostre storie per sciogliere insieme qualche nodo disfunzionale, scrivete all’indirizzo: psicologia@ilcorrieredellacitta.it

Vi aspetto.

Dott.ssa Sabrina Rodogno

PsicoStress

 

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