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Entra nella co-housing: Gigi si aggrava e muore (in solitudine) senza che i parenti lo sappiano

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Un’altra morte, un altro anziano che ha vissuto nella co-housing, sempre la stessa, quella sul litorale romano. Là, dove è morto anche Antonio, anche un altro anziano, Gigi (nome di fantasia), ha visto finire i propri giorni. Tutto ha inizio il 7 aprile del 2021, quando l’uomo, che all’epoca ha 78 anni, entra nella “Silver co-housing”, uscendone il 6 dicembre dello stesso anno, per andare al pronto soccorso della Casa di Cura S. Anna di Pomezia in condizioni disperate. Da lì, in un tentativo disperato di salvargli la vita, lo trasferiscono al S. Eugenio di Roma, dove muore alle 23:50 dello stesso giorno. Ma quello che riportano i referti dei due pronto soccorso sono da brividi. Parlano di un uomo in “condizioni generali scadute, igienico sanitarie, cute disidratata“. E di un numero di cellulare, lasciato da una “RSA” dove l’anziano era ricoverato, sempre irraggiungibile, dalle 18:51, ora del peggioramento delle condizioni cliniche, fino alla morte. Ma, ovviamente, questo non è tutto. In mezzo c’è molto altro. La storia di un uomo che, forse, adesso poteva essere ancora vivo

La storia di Gigi

Gigi abita a  Ostia con la sua seconda moglie. Nonostante il tumore alla prostata di recente diagnosi, è un uomo autosufficiente e in buona salute. È separato da anni dalla prima moglie, dalla quale ha avuto due figli, ormai ultraquarantenni. La situazione si fa pesante quando, il 19 marzo del 2021, Gigi cade in casa. È da solo. Rifiuta l’intervento dell’ambulanza, ma da quel giorno inizia il declino delle sue capacità cognitive e motorie. Nasce una conflittualità tra la moglie di Gigi e la sorella, con questa che accusa la moglie sempre più insistentemente di trascurarlo e di non essere in grado di assisterlo. Accuse che vengono notificate, ripetutamente, anche ai figli. I giorni passano e le condizioni psichiche di Gigi si fanno sempre più preoccupanti: una notte, arriva a minacciare la moglie con un coltello. Si viene a sapere che i vicini iniziano a temere il peggio, che possa arrivare ad aprire il gas e mettere a repentaglio l’intera palazzina in cui vive. Urge fare qualcosa. La sorella propone di portare l’uomo temporaneamente presso una co-housing gestita da una donna di sua fiducia, dove era ricoverata anche un’altra sua sorella, a suo dire con ottimi risultati. Inizialmente Gigi è reticente, non vuole andare nella struttura, ma si lascia convincere solo perché gli viene spiegato che si tratta di qualcosa di momentaneo. Una struttura dove avrebbe trovato un po’ di sollievo dalla continua tensione che si respirava in casa, in cui sarebbe stato visitato da un neurologo e dove avrebbe avuto tutta l’assistenza necessaria, per un periodo di tempo comunque limitato.

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Una diversa realtà

Ma le cose per Gigi non vanno assolutamente come previsto. Passano i giorni, però, della promessa visita con il neurologo non c’è traccia, così come degli altri accertamenti e controlli. Ovvero, viene asserito che Gigi sia stato visto da un medico, ma non risulta alcuna documentazione scritta. Nel frattempo i figli vanno a trovare il padre e lo trovano peggiorato rispetto al momento del ricovero. Uno di loro, Michele (nome di fantasia) decide pertanto di fissare lui una visita presso uno specialista al Gemelli di Roma, per il 26 maggio. Alla visita è presente anche l’economa della co-housing, mentre la sorella di Gigi e l’altro figlio rimangono fuori ad aspettare. Gigi non riesce più a camminare da solo: ha bisogno della sedia a rotelle. La neurologa che lo visita chiede, per prima cosa, il referto della visita precedente, che l’economa della co-housing continua a sostenere essersi svolta, pur non essendoci i documenti. La dottoressa ribatte che – come d’obbligo per ogni professionista – se si effettua un consulto o una visita si deve rilasciare una diagnosi medica scritta. In seguito a questa e ad altre incongruenze che emergono durante il percorso diagnostico, la donna si alza e se ne va.

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Figli esclusi dalla vita del padre

Al suo posto entra, furiosa, la sorella di Gigi, che discute animatamente con Michele, inveisce contro i medici, prende la sedia a rotelle e porta via l’anziano, senza neanche fargli finire la visita. L’episodio insospettisce il figlio, che si rivolge a un avvocato per richiedere copia della documentazione clinica di Gigi. È intenzione sua e del fratello verificare e accertarsi delle reali condizioni del padre, e del suo rapido peggioramento per poi decidere le opportune mosse da fare ed eventualmente trasferire il padre in un’altra struttura per farlo curare nel modo più adeguato possibile. Ma la sorella di Gigi, che agli inizi di Maggio è diventata la sua Procuratrice, scrive a Michele dicendo di non intromettersi, nonostante che quest’ultimo avesse già prenotato una Tac, come suggerito tra i vari accertamenti da fare, prescritti al Gemelli. Mentre l’economa della struttura riferisce di voler dialogare solo ed esclusivamente con la procuratrice. Solo dopo insistenze a Michele arriva un referto di un presunto neurologo, in formato digitale, di cui però non appare né il nome né la qualifica, né la firma, né tantomeno la struttura in cui opera, seguito da un messaggio, sempre da parte della sorella del padre: “Ti sconsiglio di andarlo a trovare, prima perché diventa aggressivo, poi perché ho diffidato la Co-housing, quale procuratore, a farlo vedere a te e alla moglie”. Nel referto non c’è traccia della presunta visita neurologica dichiarata dall’economa, né tanto meno copia della ultima visita fatta al Gemelli. Invece, si legge che “Non parla più e ha bisogno della somministrazione di alcuni medicinali, come l’enantone 3,75 (siringa pre-riempita a doppia camera), per il carcinoma della prostata di cui è affetto”. Viene anche riportato che è spesso aggressivo, cosa che metterebbe in pericolo non solo l’altra persona che dorme in stanza con lui, ma tutti i coinquilini della co-housing. Forse sarebbe il caso di trasferire l’anziano genitore in una vera e propria RSA, con del personale sanitario specializzato e preparato per le emergenze e a gestire i pazienti affetti da patologie come quella di Gigi. Purtroppo, Michele ha le mani legate. Da qui la nostra domanda: ma nelle co-housing non dovrebbero stare solo persone autonome?

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I tentativi di contatto 

Gigi invece, da quanto risulta da quel referto, non parla più, se non per qualche monosillabo. E il fatto che venga dichiarato aggressivo metterebbe in pericolo non solo l’altra persona che dorme in stanza con lui, ma i tutti coinquilini della co-housing. Forse sarebbe il caso di trasferire l’anziano genitore in una vera e propria RSA, con del personale sanitario specializzato e preparato per le emergenze e a gestire i pazienti affetti da patologie come quella di Gigi. Purtroppo, Michele ha le mani legate. Crescono sempre più i sospetti sulla procuratrice e sulla co-housing, e inizia una “battaglia” per vedere Gigi e appurare il suo reale stato di salute, per farlo visitare da altri medici. Anche perché le ultime foto di Gigi che arrivano tramite messaggio, a luglio, mostrano il fisico di un uomo che è notevolmente dimagrito. Michele continua a chiedere insistentemente i referti, che gli vengono negati. Anzi, la risposta è quella che, se continuerà ad insistere o proverà ad avvicinarsi alla co-housing, verranno chiamati i carabinieri.

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Moglie e figli esclusi dalla vita di Gigi

E così accade. Il 13 settembre il figlio si reca al cancello della co-housing insieme ad altre due persone. Dopo essersi presentati, viene loro cordialmente negato l’accesso. A questo punto, il figlio chiama i carabinieri. Una volta giunti sul posto, spiega che là dentro c’è il padre malato che vorrebbe andare a trovare. I carabinieri entrano in casa, ma l’economa non è presente al momento. Poco dopo, avviene un accesa conversazione telefonica, tra uno dei carabinieri e l’economa, dove quest’ultima ribadisce con forza il rifiuto di far accedere il figlio di Gigi all’interno della struttura. E non solo lui, ma anche le altre due persone che lo accompagnano, adducendo – per queste ultime – motivi precauzionali per via del Covid. Da quel momento, lo scambio di messaggi tra la procuratrice – che a tutt’oggi difende a spada tratta la co-housing e la sua economa, anche attraverso video recentemente pubblicati sui social – e i figli di Gigi cessa definitivamente. La moglie e figli non riusciranno a sapere più nulla. Viene eretto un muro di gomma impenetrabile. Fino al 6 dicembre, quando Gigi sta male e deve essere portato di corsa in ospedale. Nessuno pensa che sia il caso di avvisare la moglie e i figli circa lo stato precario di salute di Gigi, che sta precipitando? Di avvertirli che il loro genitore, che suo marito è in fin di vita e che rischia di morire da solo come un cane. Perché?

Le ultime ore di vita di Gigi

È il 6 dicembre 2021. Alle ore 13:15 un’ambulanza a sirene spiegate arriva alla Casa di Cura S. Anna di Pomezia, in via del Mare. Nella lettiga si trova Gigi. Qualcuno aveva chiamato dalla co-housing, dicendo che nella “RSA” c’era un anziano che si sentiva male, non respirava bene e aveva bisogno di cure. L’uomo è in gravi condizioni, ha un’insufficienza respiratoria acuta e cronica, oltre a una polmonite non specificata. È stato escluso il Covid, al test è risultato negativo. Ha anche un versamento pleurico, la pressione è bassissima: la massima è di 80, la minima arriva a 40. Ma prima si accorgono delle condizioni del paziente. Nel referto si legge “condizioni generali scadute, igienico sanitarie, cute disidratata”. La cute dell’uomo è talmente disidratata che è “sollevabile in pliche”. La scheda di pronto soccorso riporta: “quadro polmonare infiammatorio di probabile origine infettiva. Il quadro ipossico va inquadrato nella storia clinica e negli eventi clinici che hanno condotto allo stato odierno il paziente“. Ma Gigi, quando era entrato nella co-housing, stava bene, non aveva polmoniti in atto o pregresse. I medici del S. Anna decidono per il trasferimento al S. Eugenio. Provano quindi a contattare il numero che la struttura ha lasciato. Al pronto soccorso è registrato come “casa di cura”, inizia con 389…, ma il telefono squilla a vuoto o è irraggiungibile quando dal pronto soccorso cercano di avvisare della novità.

Morto da solo, senza che nessuno lo sapesse

Gigi viene portato a Roma alle 22:38 in codice rosso. “Giunto da S. Anna di Pomezia per insufficienza respiratoria severa e con diagnosi di polmonite. Il paziente proviene da RSA non meglio identificata e non è riportata terapia DM (domiciliare, ndr). In anamnesi vi sarebbe una patologia cutanea oncologica non meglio precisata”.  Come mai un paziente anziano come Gigi viene inviato a un Pronto Soccorso senza consegnare eventuali documenti sanitari che riportano le sue attuali condizioni? Dal momento in cui è stata chiamata l’ambulanza, fino al suo arrivo, nessuno ha provveduto a raccogliere i dati sanitari delle reali condizioni di salute di Gigi, del suo tumore alla prostata e delle patologie di cui soffriva già da tempo? L’ospedale, viste le gravi condizioni dell’uomo, prova a chiamare il numero lasciato dalla struttura per i contatti. Ma nessuno risponde. Alle 23:49 Gigi va in arresto cardiocircolatorio. Alle 23:50 l’anziano muore per “insufficienza cardiaca irreversibile in insufficienza respiratoria severa, correlata a polmonite”. Gigi si spegne 11 ore dopo aver lasciato la Co-housing. L’ospedale tenta di raggiungere telefonicamente l’unico numero riportato in cartella. Il telefono continua ad essere irraggiungibile e nessuno sa che Gigi è morto da solo. Nessuno! I medici provano fino alle 3:07, ora in cui la cartella clinica viene chiusa. Ma niente cambia. La moglie e i figli non vengono informati del decesso di Gigi. Nessuno dalla co-housing comunica loro l’esito fatale. Soltanto il giorno dopo, il 7 Dicembre 2021, alle prime ore della sera, la procuratrice avverte telefonicamente l’ex moglie di Gigi e la mette al corrente della triste notizia. Ed è proprio lei, l’ex moglie di Gigi, la persona a cui spetta la ferale incombenza di informare non solo i figli, ma anche la moglie di Gigi, totalmente ignari e all’oscuro di tutto. Non è stata concessa loro neppure la possibilità di andare a salutare il loro caro, prima della sua dipartita. E pensare che l’ospedale distava solo 20 minuti di macchina…Quando è stato portato in ospedale, le condizioni di Gigi erano già disperate. Se fosse stato portato prima, molto probabilmente Gigi si sarebbe potuto salvare. 

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Perché in co-housing?

Ma, prima ancora di arrivare al punto di essere ricoverato in gravissime condizioni, c’è da capire perché Gigi sia stato messo in una co-housing. Si parla di un uomo che, dopo la caduta, aveva perso le sue capacità psico-fisiche, arrivando a diventare pericoloso, al punto di minacciare la moglie con un coltello durante la notte. Oppure, peggio ancora, aprire il gas e mettere a repentaglio l’intera palazzina in cui viveva. Di un uomo che avrebbe dovuto fare visite mediche ed ulteriori approfondimenti clinici, al fine di inquadrare al meglio la sua patologia e il suo decorso clinico nel tempo. Ma allora, come è potuto andare in una semplice co-housing e non in una vera struttura sanitaria? Perché è stato assicurato – sia a Gigi che ai suoi familiari – che nella casa avrebbe ricevuto assistenza medica adeguata, quando questo non solo non è avvenuto, ma c’è stato un evidente peggioramento delle sue condizioni di salute in un lasso di tempo così breve? Perché gli è stato impedito di vedere la moglie e i figli, quando comunque l’uomo, ormai non totalmente capace di intendere, non aveva i mezzi per comunicare e far capire quale fosse effettivamente la sua vera volontà? Queste ed altre domande attendono una risposta, una risposta a cui solo magistratura potrà fare chiarezza. Un’altra storia oscura che riguarda gli anziani, quelli fragili, persi nel vortice delle mille cose da fare ogni giorno. E che spesso viene più comodo lasciare in una co-housing piuttosto che seguire in prima persona o portare in una struttura adeguata. Ma ci sono finali come quelli di Antonio e Gigi, che fanno stringere il cuore.

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