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Eco-X, parla il Prof. Andreassi: «Messa in sicurezza? Non bastano ‘due teli’. Serve (almeno) capire cosa ha bruciato»

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Il professore Luca Andreass

Torniamo a parlare del disastro alla Eco-X di Pomezia con il Professore dell’Università Tor Vergata Luca Andreassi, esperto di formazione e dispersione di materiali inquinanti nell’atmosfera, che già in passato si è occupato del disastro al sito di Via Pontina Vecchia.

Professore a distanza di cinque anni ancora non è chiaro cosa abbia effettivamente bruciato e quindi, di conseguenza, avere le idee più chiare su quale sia stato l’impatto effettivo sull’ambiente del disastro Eco-X: perché questi clamorosi ritardi secondo lei?

«E’ davvero difficile rispondere a questa domanda. Perché se è vero che la responsabilità dell’accaduto è naturalmente in capo ad ECO X, è anche vero che qualora l’azienda non ottemperi ai suoi obblighi, a tutela della salute dei cittadini deve intervenire l’Amministrazione comunale. Operando in danno, ovvero rigirando poi i costi sull’azienda. Ma operando. Ad iniziare dalla caratterizzazione del rifiuto, per avere contezza di cosa abbia bruciato. Io credo che ciò che abbia bloccato la procedura sia stata da una parte l’inadempienza di ECOX, a partire dalla fidejussione scoperta, dall’altra il gravoso impegno economico che avrebbe dovuto sostenere, non per sue colpe, l’Amministrazione locale. Ma è pure vero che Il Sindaco è il responsabile della condizione di salute della popolazione del suo territorio. E la salute dei cittadini non ha prezzo».

Secondo lei resta un’utopia determinare il reale impatto ambientale del rogo o c’è ancora una possibilità di sapere la verità? Cosa si dovrebbe fare in questo secondo caso senza ulteriori perdite di tempo?

«Almeno avere la contezza di cosa sia bruciato. Almeno la caratterizzazione del rifiuto. Per cercare, con tutte le difficoltà del caso, almeno di capire i rischi che corre, ad esempio, la falda acquifera per possibili contaminazioni legate ad inquinanti che potrebbero essere stati assorbiti dal terreno in questi cinque anni».

L’inerzia circa la mappatura dei rifiuti ma soprattutto della bonifica, rischia di vanificare secondo lei anche l’unico provvedimento realizzato, ovvero la messa in sicurezza dell’area dato che i teli protettivi risultano rovinati rendendo i cumuli nuovamente esposti alle intemperie e al pericolo di incendio? Quali sono i rischi, a tutti i livelli (coltivazioni, falde, ecc.) che stiamo correndo?

«La messa in sicurezza di un sito di discarica è una cosa seria, che deve rispettare procedure precise e specifiche. Certamente non può essere fatta con due teli messi lì a protezione sommaria. Peraltro, come giustamente osserva anche lei, rovinati dal tempo e dalle intemperie. Temo che la probabilità che residui di quel cumulo dei rifiuti siano penetrati nel terreno sia alta. Per capire quali rischi stia correndo la popolazione che vive in quella zona, bisognerebbe conoscere che tipo di materiale è bruciato. Ovvero il passo zero, mai compiuto, di questa assurda situazione».

L’incendio di Pomezia è un’altra delle tante pagine opache della gestione dei rifiuti nel Lazio. Di chi sono secondo lei le maggiori responsabilità?

«Difficile trovare chi ne sia esente. Certamente gli impianti più piccoli, quelli cioè che hanno un iter autorizzativo più semplice e procedure di controllo più lasche, sono spesso quelli più a rischio. Potendo contare su una mancanza di obbligo di controllo da parte dell’ente autorizzativo, spesso vengono caricati di quantitativi di rifiuti superiori alle quantità autorizzate e, talvolta, anche di materiali non previsti dall’autorizzazione stessa. Ed in queste situazioni basta davvero poco per scatenare incendi come nel caso di ECOX. Credo sarebbe utile una caratterizzazione dei siti da parte della Regione, in modo da avere un controllo in tempo reale. Anche se questo comporta personale e tempo da impiegare in maniera massiccia».

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