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Meglio morire di Covid o di fame? #ioapro, manifestazione in piazza, la disperazione di chi dopo un anno non ce la fa più

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E’ iniziata pacificamente, poi è degenerata. La manifestazione #ioapro di oggi a Roma ha visto una partecipazione importante di ristoratori (e non solo..), nonostante l’assenza del Premier Mario Draghi, in visita in Libia. Certo, si sapeva che ci sarebbe stato qualche facinoroso che avrebbe perso la pazienza, che si sarebbe tentato di entrare a Montecitorio. Era stato annunciato sui social, quindi non era certo un segreto. Ma, tutto sommato, calcolando la rabbia e la disperazione degli appartenenti a questa categoria, che da oltre un anno è penalizzata – come del resto molte altre (basta pensare ai gestori delle palestre, a estetisti e parrucchieri e ai possessori di partite iva in genere) – fortunatamente non si sono registrati gravi incidenti: dopo alcuni momenti di tensione si è ristabilita la calma.

I manifestanti, dopo più di 4 ore, sono ancora lì. E non hanno fretta di andare via. Vogliono risposte. Quelle che non hanno avuto in 13 mesi. Mesi in cui sono stati chiesti sacrifici, in cui è stato detto: “Lockdown fino al 2 maggio per salvare l’estate“, “Chiudiamo adesso per riaprire a Natale“, fino ad arrivare a quest’anno, con “Pasqua in Lockdown” e  “Italia rossa e arancione fino al 30 aprile“. Qualcosa non ha funzionato per il verso giusto o non è stato gestito correttamente (almeno come forma di comunicazione), evidentemente. Perché gli italiani si sono sentiti presi in giro.

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Infatti molti negozi sono rimasti chiusi (mentre i bus e le metro erano stracolmi, come più volte abbiamo testimoniato anche noi con foto e video), o aperti a singhiozzo, i ristoranti hanno potuto fare l’asporto o aprire ogni tanto a pranzo. Le palestre, poi, nonostante le spese effettuate per l’adeguamento a tutte le normative, hanno dovuto abbassare le serrande definitivamente, lasciando il personale a casa, ma continuando a pagare affitti o mutui. Già, perché le spese, per questi negozianti – o artigiani – continuano a esserci, anche quando non lavorano. E i cosiddetti ristori, se e quando ci sono, non bastano neanche per coprire un quarto delle spese. “I frigoriferi sono vuoti, non abbiamo più niente da mangiare”, grida uno dei manifestanti. E dopo 13 mesi così non si fa fatica a credergli. Mutui, bollette, figli da mantenere. Come si fa ad andare avanti? Se si era fatto prendere dal panico l’ufficiale accusato di aver venduto segreti militari ai russi (stipendio fisso da 3 mila euro al mese), come possono vivere queste persone che non possono più contare su nessuna entrata, visto che i loro locali devono restare chiusi?

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Possibile che la politica non riesca a trovare la soluzione a questo problema? Si potrebbe pensare ad aperture contingentate, con prenotazione obbligatoria sia a pranzo che a cena, in modo che ci sia la distanza di sicurezza. Si sarebbe più tranquilli in un ristorante che in un mezzo di trasporto pubblico (o in una scuola) e finalmente potrebbero riaprire i locali pubblici. Per quanto riguarda i bar, è sufficiente limitare il numero di presenze all’interno del locale. Sarebbe così difficoltoso?

Dopo più di un anno in questa situazione la disperazione è ormai ai limiti: ci sono persone che ormai hanno chiuso definitivamente le loro attività commerciali, che hanno dichiarato fallimento, altre che stanno per farlo. Licenziamenti, riduzioni di orario, crisi economiche che coinvolgono sempre più persone: tutto questo va fermato in qualche modo, perché non si muore solo di Covid. Con tutto il rispetto per le vittime di questo brutto male, c’è anche il rispetto per le vittime collaterali che il Coronavirus sta facendo.

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