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Pomezia, Parco della Minerva: chi comprò su ‘carta’ è stato mai risarcito? Ecco cosa abbiamo scoperto. Iniziata intanto la vendita all’asta dei beni nel quariere

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Strade asfaltate, illuminazione già predisposta e installata in loco, marciapiedi, perfino qualche rotonda. No, non è la descrizione di un quartiere modello ma l’esatto opposto. Qualcuno la definirebbe “un’oasi nel deserto”, per altri invece, ovvero per chi purtroppo ci è rimasto invischiato, è stato semplicemente il “parco della vergogna”. Siamo a Pomezia, a ridosso dell’Istituto Superiore Largo Brodolini (l’ex Ipsia), in una vasta area che costeggia Via Giuseppe di Vittorio, la strada “nuova” che collega Pomezia a Torvaianica Alta. Ebbene qui è presente una delle più dolorose “ferite” inferte alla città, frutto di un’edilizia speculativa che purtroppo ancora oggi qualcuno vuole riproporre sui territori. Qualcuno ci ha lasciato il sogno di avere una casa a due passi dal centro ma allo stesso tempo immersa sul verde. Figurarsi che alcune abitazioni hanno perfino una vista invidiabile che arriva fino al mare. Tutto questo è, in estrema sintesi, il “Parco della Minerva”, il quartiere “fantasma” di Pomezia che ancora grida vendetta.

Da Il Corriere della Città – GIUGNO 2021

Il parco della Minerva oggi

Il nostro viaggio parte da qui, da un cartellone sbiadito che un tempo promuoveva l’acquisto di unità immobiliari in quello che prometteva di essere un quartiere moderno, dotato di tutti i servizi. L’ideale insomma per andarci a vivere. E pensate che su proprio su quel cartello, quasi fosse uno scherzo del destino, si legge ancora: “Quello che ci interessa in fondo è la vostra tranquillità”. Figuriamoci fosse stato il contrario, allora. La storia infatti del “Parco della Minerva” ha purtroppo raccontato un percorso ben diverso. Il cantiere che rallenta fino a fermarsi del tutto. Operai che finiscono senza un impiego e soprattutto i promissari acquirenti che vedono i timori trasformarsi in un incubo che mai avrebbero voluto vivere. Passano i mesi, che diventano anni, e la certezza che il “Parco della Minerva” non sarà mai completato diventa un’amara realtà. Almeno fino ad oggi, perché, come vedremo, qualcosa finalmente si sta muovendo e forse l’area, sarebbe davvero una bellissima notizia, sarà presto recuperata e gli edifici terminati.

Per ora però, tra strade immacolate e una vegetazione decisamente invadente, si respira soltanto aria di degrado e abbandono. Qualcuno, come mostrano le foto, ne ha approfittato trasformando la zona in un enorme parco divertimenti, che sia un itinerario per escursioni in bicicletta (anche per le famiglie) o per giocare a fare i writers se non proprio i vandali spaccando vetri, porte e tutto quello che capita a tiro. Di sicurezza neanche a parlarne: l’area è totalmente accessibile, i cancelli scardinati (e comunque facilmente aggirabili), i palazzi e le singole case aperte a chiunque tanto che siamo rimasti sorpresi non vedendoci vivere ancora nessuno all’interno. Una delle palazzine inoltre è praticamente ultimata. Salendo le scale prive di qualsivoglia parapetto troviamo appartamenti già dotati di infissi, pavimenti e allacci per gli scarichi. Qualcuno ha il bagno già realizzato con il box doccia.

I garage, i box, gli e gli ascensori, tutto pronto. L’attico, con una vista davvero mozzafiato, si allagato e i locali del sottotetto sono diventati la tana perfetta per i piccioni (fortuna che avevamo le mascherine). Diverse unità abitative hanno una metratura invidiabile e con ampi balconi: non è difficile immaginare perché vennero scelte e comprate per andarci ad abitare. Uscendo all’esterno troviamo ancora i container con gli spogliatoi degli operai e i locali mensa. Nella zona campeggiano le altre due palazzine, le torri come vengono chiamate, ma una in realtà è poco più di uno scheletro: sono ciò che rimane del progetto originario che solo in parte venne completato nelle zone limitrofe.

Parco della Minerva oggi: cosa rimane del quartiere “fantasma” di Pomezia

Il comitato acquirenti Parco della Minerva

In questa storia c’è però un altro capitolo rimasto in sospeso, qualcosa di cui più nessuno si è occupato negli anni successivi al crack finanziario di Di Mario. Che fine fecero infatti i soldi già versati dai promissari acquirenti del “Parco della Minerva”? Ad occuparsi del caso furono in particolare gli avvocati Antonio Aquino e Alessandra Pardo dello studio Legale Aquino di Pomezia. Gli avvocati, assunti da alcuni dei promissari acquirenti facenti parte del “Comitato Acquirenti Parco della Minerva” (nato proprio per dar voce alle persone che rimasero coinvolte loro malgrado nel crak Di Mario) diedero avvio a tutta una serie di azioni legali per tutelare i diritti dei loro assistiti, rimasti di fatto senza casa malgrado il versamento della caparra iniziale. Li abbiamo incontrati per ricostruire con loro questa bruttissima pagina della storia pometina.

“Parco della Minerva”, dieci anni dopo lo stop al cantiere: cosa accadde di preciso?

«La vicenda fu senza dubbio molto complicata. Tutto iniziò, cercando di semplificare il più possibile, quando alla Dima costruzioni di Di Mario subentrarono le banche. L’asset della Dima, che comprendeva tutti gli immobili, finì sotto la gestione di un fondo chiamato Raetia, una SGR ovvero una società di gestione crediti. Questo fondo gestiva quindi questa cassaforte di beni ma non ne era proprietaria: la proprietà apparteneva ad un altro fondo immobiliare, il fondo “Diaphora 1”. La Raetia, inviò comunicazioni tese a rassicurare i promissari acquirenti, ovvero coloro che avevano comprato “su carta” in pratica, che nonostante il fallimento della società del gruppo Di Mario i lavori sarebbero andati avanti. Era la primavera/estate 2011. A distanza di 15 mesi, ad aprile 2012, tuttavia la situazione era rimasta invariata. I cantieri continuavano a rimanere fermi e questo gettò, come si capirà, i promissari acquirenti nel panico più totale».  

Per tutelare gli interessi dei promissari acquirenti nacque il “Comitato acquirenti Parco della Minerva”: quali furono le azioni intraprese dal vostro studio legale?

«Inizialmente non fu per nulla facile e anzi, ci preme sottolineare che furono davvero pochi, almeno nelle prime battute, quelli decisi ad affrontare un contenzioso legale. Anche chi è andato avanti – in tutto abbiamo gestito 50-55 pratiche – ha dovuto aspettare anche fino a 6 anni e affrontare 2/3 giudizi per far valere i propri diritti. E’ opportuno inoltre sottolineare che le vicende del fallimento della Dima e quelle legate a chi aveva comprato le unità immobiliari “su carta” presero ben presto strade diverse. Chi aveva firmato la polizza fideiussoria infatti, poteva escuterla solo in presenza di determinati presupposti. Tra questi c’era  il fatto che uno dei beni oggetto del fondo potesse essere interessato da procedura esecutiva, oppure che il costruttore venisse dichiarato fallito. E qui sorse il primo, enorme ostacolo. La Dima era sì fallita, ma gli immobili erano stati ceduti al fondo. Fondo che non è mai stato dichiarato fallito perché non è previsto dalla legge, in quanto i fondi non possono essere soggetti a tale procedura bensì solo alla cosiddetta “liquidazione giudiziale”. Questo fu proprio quello che avvenne anche con il fondo “Diaphora 1” ma ciò non rientrava nei presupposti per far scattare la polizza».

«E’ chiaro che fu una manovra concordata anche perché l’amministrazione controllata del fondo attraverso la liquidazione giudiziale estingueva tutti i procedimenti giudiziari in corso. Insomma, le premesse non erano affatto positive: ci trovavamo a combattere con dei veri e propri “colossi” molto più in alto di noi e per nulla disposti, figuriamoci, a venire incontro alle esigenze delle persone coinvolte, la vera parte lesa di tutta questa vicenda. Da un lato Raetia e il fondo non avevano alcun interesse perché volevano salvaguardare il loro asset, perché per pagare noi avrebbero dovuto vendere; le assicurazioni non volevano pagare le polizze e la Banche avevano le ipoteche dopo essere subentrate a Dima».

A quel punto cosa accadde?

«Il primo tentativo fu quello di chiedere per i promissari acquirenti la risoluzione contrattuale al fine di riavere indietro il doppio della caparra. Ma quando il fondo finì in amministrazione controllata come visto, avevamo cinquanta procedure iniziate che potevano andare a morire così, senza giungere ad alcun risultato. Il caso ha voluto però che per una sola pratica di queste il Giudice emise una particolare ordinanza – che si può richiedere senza arrivare alla fine del processo – a seguito della nostra richiesta di riavere indietro soltanto la caparra versata. E grazie proprio a questa ordinanza riuscimmo, avendo in mano un titolo esecutivo, ad iscrivere un pignoramento che venne poi esteso a tutti i terreni coinvolti, dato che su quei beni gravavano molte ipoteche. Proprio con il pignoramento e l’esecuzione forzata avevamo in mano ora i presupposti per far scattare la polizza. Abbandonammo quindi le azioni civili, perché tanto era chiaro che dal fondo/Raetia, al di là delle sanzioni economiche che comunque arrivarono dietro nostro esposto per aver posto in essere pratiche che dal punto di vista del testo unico bancario erano illegittime, non avremmo ricavato alcunché. La nostra azione si rivolse così alle compagnie assicurative che avevano garantito per le polizze fideiussorie. Ora avevamo un soggetto “aggredibile”».

Ci sono stati promissari acquirenti che sono riusciti a riavere i soldi versati? Se sì di quali importi parliamo?

«Delle 50-55 pratiche che abbiamo gestito come studio legale tutte, anche se in misura diversa, sono andate a buon fine. Chiaramente non è stato semplice perché non hanno pagato spontaneamente ma ci hanno costretti a intentare causa. E qui devo riconoscere che le persone hanno dimostrato davvero tanto coraggio e determinazione, senza contare le spese sostenute per arrivare fino in fondo. Alcuni hanno recuperato il 100% di quanto avevano versato come caparra per le case, altri hanno accettato il 15% in meno proposto dalle compagnie assicurative per liquidare subito senza aspettare la fine del giudizio. Del resto molti credevano di aver perso tutto quindi è anche comprensibile. Altri invece, coloro che avevano ottenuto un decreto ingiuntivo, hanno avuto anche gli interessi arrivando fino in fondo. Come importi parliamo di budget di tutti i tipi: c’è chi aveva acquistato un unico immobile, chi più di uno, siamo nel range tra i 20.000 e 100.000 euro a seconda delle istanze». 

Che ne è stato del fondo e chi ha in mano oggi ciò che resta del Parco della Minerva? Da quanto sappiamo parte degli immobili e dei terreni sono già stati venduti…

«Sì, risulta anche a noi. Il fondo Diaphora ancora oggi ha un liquidatore giudiziario anche se la Raetia chiaramente è stata esclusa. Recentemente abbiamo saputo che l’asset si sta vendendo, segno che c’è qualche costruttore deciso a comprare».

L’intervista al Sindaco Adriano Zuccalà

Sindaco, esiste un progetto di recupero per il Parco della Minerva?

«Parte dei terreni, degli immobili in corso di costruzione e delle aree che dovranno diventare pubbliche nel Parco della Minerva, sono oggetto di una procedura fallimentare che li sta portando alla vendita mediante aste pubbliche. In base alle informazioni in nostro possesso, parte di essi sono stati già venduti insieme a parte delle opere di urbanizzazione realizzate (strade, marciapiedi, illuminazione etc.). Stiamo lavorando affinché l’iter di edificazione possa procedere insieme all’acquisizione delle aree pubbliche secondo le convenzioni urbanistiche, con tutti i vantaggi che ne conseguiranno per gli abitanti del quartiere e la collettività tutta». Connessa alle vicende del Parco e dello stop ai cantieri vi è anche la questione della polizza fideiussoria legata alle opere di urbanizzazione che in parte, come documentato dalla nostra inchiesta, sono state realizzate. Ad ogni modo per l’escussione della polizza si era attivata la precedente Amministrazione che aveva addirittura annunciato l’imminente arrivo per la città “di ben 16 milioni di euro».

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Negli anni scorsi il Tribunale di Velletri aveva dato ragione al Comune di Pomezia e avviato l’ingiunzione di pagamento nei confronti dell’assicurazione per la mancata esecuzione delle opere di urbanizzazione previste dalle convenzioni urbanistiche dei “Comprensori P12-P13-P14” stipulate nel 2006 con la società Parsitalia Real Estate. Nel 2018 l’Amministrazione Fucci aveva annunciato peraltro il pagamento “imminente di oltre 16 milioni di euro proprio dalla polizza fidejussoria”. Qual è ad oggi la situazione? Il Comune è entrato in possesso di tali somme? In caso contrario quali azioni si stanno portando avanti?

«Ricordo bene l’incontro pubblico del 2018. L’oggi consigliere della Lega Fucci, all’epoca Sindaco, paventava l’arrivo di 16 milioni di euro da spendere immediatamente nel quartiere, guarda caso in piena campagna elettorale. Probabilmente è proprio da allora che la credibilità di Fucci ha iniziato a vacillare sempre di più, arrivando oggi, dopo 3 anni di nulla politico, ad essere considerato il falso profeta di Pomezia. Tornando al tema principale, e rapportandosi con trasparenza alla cittadinanza, attualmente è in corso un contenzioso tra il Consorzio Unitario la Sughereta con l’assicurazione Generali Italia S.p.A e il Comune di Pomezia per la definizione di quanto dovuto all’Ente. Un commissario tecnico terzo ha quantificato le opere di urbanizzazione realizzate fino ad oggi, queste dovranno essere scomputate dai 16 milioni della polizza e ad oggi siamo in attesa che la questione venga dibattuta nell’aula di tribunale. Appena avremo aggiornamenti sul tema li condivideremo prontamente con la cittadinanza».

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