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La Cannabis Light in Italia: tra norme ed economia

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Capire la disciplina italiana in tema di cannabis non è cosa semplicissima, in quanto si sono alternate ed accavallate tutta una serie di misure che andavano a colmare, precisare o abrogare l’impianto normativo di base. È quindi necessario procedere per step progressivi, analizzando il più delle volte il solo punto di arrivo della legislazione, senza riportare tutte le vicende anteriori. 

– La normativa italiana ed europea sulla coltivazione

C’è da tenere presente, in primo luogo, che l’Italia è stata fino ai primi decenni del ‘900 una delle maggiori potenze produttrici ed esportatrici di canapa, pianta che trova nel nostro paese un habitat naturale particolarmente favorevole. Con il proibizionismo sono iniziate le restrizioni alla coltivazione per uso industriale anche nel nostro paese, fino a che non è intervenuta l’Unione Europea, con due regolamenti complementari, uno del 2013 e uno del 2014. 

Questi restringono il novero delle piante di cui è permessa la coltivazione ad uso industriale nell’Unione Europea, predisponendo un Catalogo delle piante ammesse. Dall’altra parte, però, viene istituito un fondo europeo per il supporto finanziario delle aziende agricole e dei coltivatori, qualora la concentrazione di THC nelle piante su cui lavorano sia inferiore allo 0,2%. 

Questa ultima disposizione deve essere letta di concerto con la legge italiana in merito alla coltivazione di cannabis ad uso industriale, la L. 242/2016, che alza la soglia prescritta dal legislatore europeo per i soli aiuti finanziari, dando la possibilità di coltivare ad uso industriale e commerciare piante e i prodotti derivati con un livello di THC massimo di 0,6%. Tale legge ha poi chiarito che la pianta di cannabis con un THC minore dello 0,6% non rientra nella definizione di sostanza stupefacente di cui al T.U. sulle sostanze stupefacenti del 1990.

Tale ultimo dato è stato corroborato da ricerche che dimostrano che l’effetto psicotropo è praticamente assente nella cannabis light, come viene definita quella con THC sotto la soglia, ma che il fruitore può godere degli effetti positivi del CBD, che non dà assuefazione né pregiudica lo stato di salute mentale, anzi.

Gli interventi normativi successivi

Se la legge 242/2016 aveva, al suo art. 3, omesso la menzione delle infiorescenze tra i prodotti della pianta di canapa che potevano essere commercializzati, il punto, in realtà non aveva creato molti dubbi. In ogni caso, a chiarimento della posizione dello stato italiano sul punto è intervenuto poco dopo, nel 2018, il Ministro dell’Agricoltura con una circolare. Il Ministro si concentra sull’attività di florovivaismo (previsto dall’art, 3 di cui abbiamo detto prima) in relazione alla pianta di cannabis e riconosce le infiorescenze come prodotti di questa liberamente commerciabili, se con THC sotto lo 0,6%, ovviamente. 

A espandere l’utilizzo della cannabis, è intervenuto anche il Ministero della Salute, con due diversi provvedimenti. Il primo, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nel 2018, è un decreto del Ministro in cui si eliminano le restrizioni alla prescrizione della cannabis a uso terapeutico, superando quindi le precedenti distinzioni, per alcuni penalizzanti. Il secondo decreto è invece stato fatto pubblicare il 4 novembre 2019 e stabilisce dei limiti-soglia per l’uso a fini alimentari dei derivati della cannabis. Se prima, dunque, c’erano dubbi sulla possibilità di assunzione dei prodotti della canapa per via orale, questi sembrano essere stati fugati con questo decreto per gli oli con concentrazione di THC minore di 0,5% e per farine e semi sotto lo 0,2%

La giurisprudenza

Non solo il legislatore ha assunto un atteggiamento più permissivo nel settore della cannabis, ma anche, di recente, la Corte di Cassazione ha dato una decisa sferzata nel senso di cessare la stigmatizzazione a priori in questo ambito. La giurisprudenza aveva infatti sempre avuto una linea molto rigorosa in tema di marijuana e in particolare per la coltivazione domestica di piante di canapa. Difatti, si puniva la condotta di chi coltivava piante di cannabis in casa, anche se per mero uso personale. Veniva punita, cioè, la potenzialità lesiva della coltivazione, che poteva portare ad un aumento della quantità di sostanza in circolazione e quindi, magari, alla commercializzazione e all’alimentazione del mercato illegale.

Con la sentenza del 19 dicembre 2019, le Sezioni Unite hanno smentito questa visione, sancendo l’incolpevolezza di chi coltiva per mero uso personale, quando quest’ultima circostanza sia corroborata da determinati ed esplicitati indici presuntivi, che la Corte riporta nella sentenza in oggetto. 

Un nuovo mercato 

In conseguenza di queste politiche di apertura, il mercato della canapa si sta nuovamente rinvigorendo, con un indotto notevole. Sempre maggiori sono non solo le aziende agricole, ma anche gli shop, online e non, dove acquistare la migliore canapa light, anche da coltivazioni esclusivamente italiane. Il tutto, con la sicurezza che i prodotti siano buoni e di essere nella legalità.  

Questo lascia ben sperare per la società italiana: non solo si è aperto un nuovo settore economico, ma il fatto che questa porzione sia stata legalizzata, lascia sperare che questi siano elementi che potrebbe aiutare il nostro paese in una sperata ripresa economica e in una liberazione dal giro dei mercati clandestini di cannabis, su cui incombe la mano della criminalità organizzata. 

 

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