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Variante Delta, vaccino Pfizer e AstraZeneca efficaci? Ecco perché preoccupa la variante indiana

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La variante Delta, meglio conosciuta come variante indiana, sta preoccupando (e non poco) il Regno Unito, con Boris Johnson che – vista l’impennata di casi – è stato costretto a far slittare, ancora una volta,  le riaperture. In Italia la situazione sembra essere sotto controllo, ma il ministro Speranza starebbe pensando di reintrodurre la quarantena per chi arriva nel nostro Paese e proviene dal Regno Unito, così da arginare la diffusione della variante e intervenire tempestivamente per contrastare eventuali focolai. Proprio ora che l’Italia vira tutta verso la zona bianca e i contagi sembrano essere in calo, si deve cercare di scongiurare situazioni rischiose per non indietreggiare, per non vanificare gli sforzi. Stando all’ultimo monitoraggio degli esperti della cabina di regia, l’incidenza media della variante delta nel nostro Paese sarebbe inferiore all’1 (al 3,4% nel Lazio, in Lombardia all’1,2%, in Emilia-Romagna allo 0,7%, in Piemonte all’1,1%, in Puglia, al 2,9%, in Sardegna e all’1,5% in Veneto). 

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Variante Delta, i vaccini Pfizer e AstraZeneca sono efficaci? 

La variante indiana, così come quella sudafricana, preoccupa perché sembrerebbe essere molto più contagiosa, facilmente trasmissibile. Il virologo Fabrizio Pregliasco al Messaggero ha spiegato: “Intimorisce soprattutto per la contagiosità che è addirittura superiore del 60% alla variante inglese oggi prevalente in Italia. Questa mutazione è anche più cattiva per così dire: cioè chi la contrae ha 2,6 volte più possibilità di essere ospedalizzato rispetto a chi viene contagiato dalla versione standard del virus”. 

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Ma oltre a questo, c’è chi teme che i vaccini approvati, come Pfizer e AstraZeneca, non siano del tutto efficaci contro la variante Delta (indiana, ndr). In realtà, stando a una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Lancet, la variante si può controllare con i vaccini, a patto però che vengano somministrate due dosi o quelle ritenute necessarie: i sieri ridurrebbero il rischio di finire in ospedale, ma solo dopo 28 giorni dalla prima somministrazione si dovrebbe avere una protezione. Stando allo studio, il vaccino Pfizer con due dosi contro questa variante offre una protezione del 79%, mentre AstraZeneca ha una protezione del 60% contro la mutazione indiana.

Quello che pare certo, però, è che ci sia bisogno di almeno due dosi, proprio come ha specificato al quotidiano romano l’immunologo direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Rozzano e professore emerito all’Humanitas University a Milano, Alberto Mantovani: C’è una certa perdita di efficacia dei vaccini contro l’indiana, soprattutto se si riceve una sola dose. La protezione nei confronti di questa variante è di circa il 30% dopo la prima iniezione e oltre il 70% dopo la seconda”. 

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