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Viaggio nella “zona arancione”: tutti i controsensi delle regole varate dal Governo e le testimonianze da Roma, Ardea e Pomezia

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Nell’Italia che ha affrontato la seconda ondata dei contagi di Coronavirus non sono mancate purtroppo le difficoltà per i cittadini per comprendere (e rispettare, al netto dei trasgressori “volontari”) le tantissime norme varate dal Governo. Articoli ridondanti, contraddittori, poco chiari e spesso pubblicati all’ultimo istante poco prima cioè di entrare in vigore. L’esempio lampante di tutto questo sono stati i provvedimenti disposti per le cosiddette fasce di rischio, dal giallo al rosso passando per l’intermezzo dell’arancione.

Colori associati a regole: sembrerebbe facile ma non lo è stato affatto, anzi. Un po’ perché le norme erano ingarbugliate, un po’ perché, francamente, in alcuni sensi si è faticato a capire le ragioni “reali” (troppo facile dire infatti “disposizioni anti-contagio” e buttarci dentro di tutto) alla base dei provvedimenti. In questo nostro speciale, allora, abbiamo voluto raccontare tutti i controsensi, a nostro avviso, in particolare della cosiddetta “fascia arancione” riportandovi anche – attraverso foto e interviste sul campo – quanto accaduto nella pratica a Roma, Ardea e Pomezia.

La vita in Italia al tempo dei Dpcm (e delle norme per limitare i contagi da Covid)

Siamo ben consapevoli di quanto sia difficile cambiare le nostre abitudini. I numeri ci dicono che stiamo avendo una crescita importante di contagi, di persone in terapia intensiva e di morti”. Da questo primo discorso del Premier Conte sono trascorsi undici mesi. Troppi i Dpcm che si sono rincorsi in quello che è quasi un anno di pandemia, che ha stravolto le nostre vite. E se prima la normalità poteva essere una passeggiata o un pranzo con gli amici, in questo periodo tra le “abitudini” si è aggiunto anche l’“appuntamento” con la conferenza stampa serale del Presidente del Consiglio.

Tutti incollati al televisore, in attesa di conoscere le nuove misure restrittive, con la speranza di ritornare alla vita di sempre quanto prima. Eppure, la parola fine ancora non può essere messa nera su bianco. Tutto il contrario. È vero, un passo importante con i vaccini (tra ritardi e complicanze) è stato fatto, ma la conta dei contagi e, soprattutto dei morti, ogni giorno nel nostro Paese continua a fare paura. In un’Italia “colorata” e divisa in zone a seconda del livello di rischio, tutti cercano di difendersi come meglio si può e di raggiungere la “zona bianca”, quella fascia che più ci avvicinerebbe alla normalità. Quella zona che dà modo a cinema, teatri, sale da concerto, palestre e piscine di riaprire i battenti dopo mesi di ripetute chiusure e difficoltà.

Sembra quasi un miraggio perché l’Italia continua a essere divisa e colorata di giallo, rosso e arancione e a fare i conti con l’ennesimo Dpcm. L’ultimo è entrato in vigore il 16 gennaio scorso e le misure, ancora restrittive, saranno valide fino al 5 marzo: spostamenti limitati, vietati tra Regioni diverse (anche quelle in fascia gialla) fino al 15 febbraio e divieto di asporto dopo le 18 per i bar. Ancora disposizioni che riportano gli italiani indietro nel tempo, esattamente a un anno fa quando tutto, purtroppo, è cominciato.

Lazio in zona arancione per la prima volta

Alle bozze, ai decreti e alle FAQ, si deve aggiungere il monitoraggio settimanale dell’ISS, il passaggio utile per decidere il “destino colorato” delle Regioni, per classificarle in più scenari di rischio. Ecco, proprio sulla base del report dell’Istituto Superiore di Sanità il Lazio, per la prima volta, da zona gialla è passato in quella arancione con un Rt che ha raggiunto e superato l’1. Da domenica 17 gennaio la Regione Lazio ha cambiato colore e ha fatto “sue” tutte le ulteriori misure stringenti: spostamenti limitati nel Comune (se non per comprovate esigenze) e i bar e ristoranti aperti solo d’asporto o con consegne a domicilio. Cittadini che hanno dovuto fare i conti con altre chiusure e che, come sempre, hanno cercato di trovare una sensatezza alle disposizioni, proprio lì dove la logicità sembra non reggere.

Le regole per la zona arancione

Congiunti fuori Comune, quando l’amore conosce confini

L’amore non dovrebbe conoscere confini, ma non con il Coronavirus. I confini ci sono stati (ci sono) e gli spostamenti tra le Regioni, per il momento, restano “congelati”. Così come tanti affetti. Congiunti, quel termine che tanto mesi fa aveva fatto discutere e sul quale era subito montata la polemica, è tornato in questo periodo con prepotenza a farsi sentire. Ingombrante come non mai. Il tempo passa, i Dpcm si susseguono, i Decreti-legge ogni tanto spuntano qua e là, ma la confusione e quella che agli occhi di tanti è “illogicità” restano. Quasi come se fossero delle “tristi” costanti di un periodo tutto da dimenticare.

A “ribellarsi” alle nuove misure in vigore proprio dal 16 gennaio sono stati ancora una volta i congiunti che vivono in Comuni diversi (o Regioni) e che si trovano nei territori in fascia arancione o rossa. Fidanzati, compagni, “affetti stabili” con l’unica colpa di risiedere in Comuni diversi. A volte a pochissimi chilometri l’uno dall’altro.

“E’ consentito, una sola volta al giorno, spostarsi verso un’altra abitazione privata abitata, tra le 5.00 e le ore 22.00, a un massimo di due persone ulteriori a quelle già conviventi nell’abitazione di destinazione. La persona o le due persone che si spostano potranno comunque portare con sé i figli minori di 14 anni e le persone disabili o non autosufficienti che con loro convivono – si legge in una nota del Governo. Tale spostamento può avvenire all’interno della stessa Regione, in area gialla, e all’interno dello stesso Comune, in area arancione e in area rossa, fatto salvo quanto previsto per gli spostamenti dai Comuni fino a 5.000 abitanti”. Non è un paradosso? Eppure, stando al parere di alcuni esperti di materia giuridica e alle FAQ chiarificatrici, il ricongiungimento con il partner sembra essere previsto tra le cause di necessità, sempre da giustificare con l’autocertificazione. Le coppie sembra che possano ritrovarsi nell‘abitazione che normalmente condividono: questo perché gli spostamenti sono sempre consentiti per rientrare alla propria residenza, domicilio o abitazione.

Gli spostamenti fuori Comune

C’è un altro punto che ha fatto discutere. Sì, perché in zona arancione (nel Lazio, per esempio), gli spostamenti tra Comuni diversi (anche se a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro) sono vietati, se non per comprovate esigenze. Ma se è vero che ci sono Comuni piccoli, divisi solo da una strada, è altrettanto vero che ne esistono altri. E grandi. Basti pensare che solo il Comune di Roma è su un’area di 1.285 km quadrati. Ma lì ci si può spostare, senza divieti.

Ed è proprio questo il paradosso al centro delle criti che, della serie: “Io posso muovermi nell’immenso comune di Roma, ma non posso andare da un mio parente che è a pochissimi chilometri da me”. Ci si può spostare dal proprio Comune solo per le ormai “famose” comprovate esigenze di lavoro, salute, necessità (tra queste, anche fare la spesa), sempre con il modello di autocertificazione da presentare al momento di un eventuale controllo. Sì agli spostamenti dai comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti e per una distanza non superiore a 30 chilometri dai relativi confini, con esclusione in ogni caso degli spostamenti verso i capoluoghi di provincia.

Caos seconde case

Tra spostamenti limitati e attività chiuse, un’altra questione che ha generato il caos è stata quella relativa alle seconde case. Seconde case sì o no? Dopo giorni di confusione e interpretazioni varie, ecco che è arrivata la risposta dal Governo: sì, ci si potrà spostare per raggiungere le seconde case. A una condizione però. Possono raggiungerle (anche se si trovano in Regioni o Province autonome diverse) solo coloro in grado di comprovare di avere un contratto di affitto o un atto stipulato dal notaio che abbia come data una anteriore al 14 gennaio 2021. Ma c’è di più. L’abitazione di destinazione non deve essere abitata da persone non appartenenti al nucleo familiare.

I paradossi della zona arancione: attività commerciali discriminate

Centri commerciali aperti, seppur chiusi nel fine settimana, bar e ristoranti costretti a sopravvivere con l’asporto peraltro ridotto alle 18.00 per i primi. E così ci si è potuti azzuffare per un paio di Nike ultimo modello, come accaduto a Roma, o rimanere invischiati negli ingorghi a Primark nel nuovissimo centro commerciale Maximo sulla Laurentina.

E’ evidente che qualcosa non abbia funzionato. In particolare è stato proprio il caso dei centri commerciali a destare le principali perplessità: qui è stato ancora più evidente il contrasto fra i negozi aperti e stracolmi di gente, anche in virtù dei saldi, e la desolazione dei bar e dei ristoranti i cui tavoli sono stati transennati anche se, in realtà, sarebbero gli unici luoghi idonei a garantire il distanziamento interpersonale.

Insomma, in questo modo si finito solamente per penalizzare le stesse attività commerciali con in più il controsenso di non capirne l’effettivo ruolo nella prevenzione dei contagi. E questo anche a fronte di palestre, cinema e teatri, tutti luoghi, che anche qui, con i dovuti controlli, potrebbero lavorare in sicurezza, tenuti sigillati.

Tutti in fila per entrare nei negozi, ma non si può consumare ai tavoli di bar e ristoranti

Leggi anche: Roma, i paradossi della zona arancione: lunghe code e assembramenti da Primark, ma tavoli di bar e ristoranti restano transennati (FOTO) 

Prendere un caffè? Al freddo e sotto la pioggia

All’esterno dei centri commerciali è andata ancora peggio. I bar lavorano ma, come visto, solo con l’asporto. Quindi, anche solo per prendere un caffè, la fila è all’esterno, si è potuto entrare generalmente uno alla volta. Comprando a portar via. Noi abbiamo fatto un giro ad Ardea e a Pomezia raccogliendo testimonianze dirette di come, in un modo o nell’altro, le persone hanno tentato di adattarsi alle nuove regole in attesa di tempi migliori: e così abbiamo incontrato persone intente a prendersi un caffè in strada nonostante le temperature mattutine davvero rigide (eravamo intorno ai 2-3°) o a ripararsi come meglio si poteva nei giorni di pioggia. Onestamente, un senso a tutto questo, citando Vasco Rossi, “noi non l’abbiamo trovato”.

Un tempo era il piacere del caffè: ora si prende al freddo in strada

La testimonianza

Ma c’è anche chi si è voluto sfogare: «Sono tre giorni che siamo in giro tra Roma Latina Pomezia Fiuggi a lavorare. Sopralluoghi, riunioni, appuntamenti e incontri vari. Usciamo di casa alle 7 per rientrare alle 20», ci racconta. «Non possiamo rilassarci con un aperitivo. Non possiamo tirarci su con un buon caffè se non in un bicchierino di carta consumato in strada dopo una fila al freddo per essere serviti. Mangiamo sotto la pioggia o al freddo pezzi di pizza al taglio come quando da ragazzini uscivamo da scuola – continua – Oggi a pranzo abbiamo dovuto dividerci un po’ di pizza usando come tavolo una cassetta della corrente vicino al cancello di un condominio. E come noi tutti gli altri. Tutti zitti e rassegnati. Dalle rosticceria con i tavoli accatastati e “sigillati” ai clienti che come acrobati gestivano il passaggio tra le mani di mascherina, pizza, supplì, bottigliette di acqua o coccola, ombrelli, guanti ecc. Il tutto sotto un cielo scuro e umido di pioggia e freddo», è l’amaro racconto.

Poi, e qui veniamo al nostro discorso, ecco tornare ai controsensi: «Ma che cavolo stiamo facendo? In altri negozi tutto procedeva normalmente. In frutteria, in macelleria. Dal ferramenta, nel negozio di abbigliamento. Certo li non si sosta. Li non ci si rilassa. Non si fa pausa. Stiamo viaggiando con una macchina del tempo che mi pare abbia come meta quei paesi che un tempo vivevano un incubo sotto dittatura statalista. Paesi dell’est da cui tutti cercavano di scappare e che oggi invece sono terre di opportunità che aprono al futuro. La cosa più triste è che i più non se ne stanno rendendo conto», conclude.

La speranza di una “vita normale a colori”

Quello che è certo è che ancora per qualche mese dovremmo fare i conti con zone colorate e misure restrittive. È vero, le nostre abitudini sono state travolte e abbiamo dovuto adattarci a una nuova vita, lontana da quella normale, da quella di sempre. A quasi un anno da questa pandemia, tutti sperano di uscire presto dal tunnel. E di avere sì una vita “a colori”, ma felice e spensierata, libera da ogni restrizione. Arriverà il momento in cui si ingranerà la marcia e si ripartirà. Ci lasceremo alle spalle questa realtà in bianco e nero di un’Italia sì colorata. Ma non come vorremmo.

Luca Mugnaioli e Federica Rosato

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