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Inchiesta Equilibri a Torvaianica, il ‘Clan Fragalà’ non esiste: non c’è mafia, la Corte d’Appello stravolge le sentenze

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Corte d'Appello

Non c’è mafia a Torvaianica. Almeno non per quanto riguarda gli imputati che oggi hanno fatto ricorso in appello in merito al maxi processo che vedeva protagonisti 16 delle persone arrestate nel giugno del 2019 nell’ambito dell’operazione Equilibri. Quel giorno, il 4 giugno 2019, i carabinieri del Ros, nel corso di un blitz, arrestarono 34 persone.

Di queste, le prime 6 scelsero di farsi giudicare con rito abbreviato per avere lo sconto di pena. A loro i giudici avevano inflitto condanne per un totale che supera i 53 anni di carcereE proprio in quell’occasione era stata riconosciuta “l’esistenza di un’associazione criminale imperniata sul clan Fragalà”. Ma adesso le cose sono totalmente cambiate.

Nessun “Clan Fragalà” a Torvaianica

Nell’udienza di venerdì 7 luglio, in Corte d’Appello, tutto è stato stravolto. A ricorrere gli imputati che, l’11 novembre 2021, erano stati duramente condannati in primo grado dal Giudice Matilde Laura Campoli di Velletri. I loro legali lo avevano già annunciato all’epoca, il ricorso in appello. “Quello che disegna il capo di imputazione è una ‘mafia autoctona’, il cosiddetto ‘Clan Fragalà‘, una mafia di nuovo conio, però la giurisprudenza di legittimità, quando si tratta di mafie autoctone, prevede una serie di requisiti che devono passare necessariamente attraverso l’intrinsecazione del metodo mafioso sul territorio. Nel caso nostro il controllo del territorio, intrinsecazione di atti violenti e fama criminale del gruppo era stata dimostrata nel dibattimento”, affermano gli avvocati difensori. 

Tesi accolta dal presidente Stefano Venturini e dal collegio giudicante, formato da Tassoni Cataldi e Picozzi, che ha escluso quindi l’aggravante mafiosa, andando a tagliare drasticamente le pene inflitte in precedenza. L’associazione mafiosa è caduta per tutti gli imputati, ridisegnando i confini di tutto il processo. Sono rimasti per alcuni degli imputati i reati singoli, gli episodi contestati e l’appello ha assunto dei toni totalmente diversi rispetto al primo grado. Ed ecco quindi il quadro delle condanne e delle assoluzioni dopo aver ascoltato le tesi della difesa.

Pene ridotte 

Alessandro Fragalà, 14 anni e 6 mesi. In precedenza era stato condannato a 26 anni e 11 mesi di reclusione. La riduzione è quindi d 12 anni e 5 mesi. Ancora più clamorosa la sentenza che riguarda suo fratello Ignazio Fragalà, che in primo grado era stato condannato a 13 anni e 3 mesi di reclusione, contro i 9 anni richiesti dal PM: in appello è stato assolto. Fa scalpore anche quanto deciso per Mariangela Fragalà: aveva una condanna in primo grado di 14 anni e 11 mesi di reclusione (invece dei 14 anni richiesti dal PM), ma in appello i giudici hanno ridotto la pena a 4 anni e 3 mesi. Pena ridotta anche per Salvatore Fragalà: in precedenza il giudice per lui aveva dato 16 anni di reclusione, mentre ora dovrà scontare solo 11 anni. Sconto di pena pure per Simone Fragalà, che passa dai 4 anni e 6 mesi iniziali a 1 anno e 6 mesi inflitti in appello. Chiude, per la famiglia Fragalà, la figlia di Alessandro, Astrid Fragalà: in primo grado aveva una condanna a 2 anni e 6 mesi di reclusione, adesso è stata assolta.

Per gli altri imputati abbiano Santo D’Agata, a cui i giudici avevano riconosciuto una condanna di primo grado di 24 anni e 6 mesi di reclusione. In appello per lui la pena è stata ridotta a 7 anni e 4 mesi. Un’altra pena pesante era quella di Blerim Sulejmani: a lui erano stati inflitti a Velletri 15 anni e 5 mesi. Ma in appello i giudici hanno ridotto la condanna a 8 anni e 10 mesi. Stefano De Angelis, inizialmente condannato a 6 anni, in appello vede ridotta la pena a 4 anni.

Assoluzioni e prescrizioni

Poi ci sono le altre assoluzioni. Sono stati assolti Pasquale Lombardi, che si portava dietro una condanna a 7 anni e 6 mesi di reclusione. Ma anche Angelo Arena, in precedenza condannato a 6 anni e 6 mesi. Stessa cosa Stefano Barbis, che doveva scontare 6 anni e 8 mesi e per Tito Ferranti, a cui il giudice aveva inflitto in precedenza una pena di 4 anni. Ma anche per Mariano Cervellione, condannato in primo grado a 8 anni. Per Francesco D’Agati, inizialmente condannato a 2 anni e 6 mesi, e per Marco Del Fiume, per il quale in primo grado erano stati chiesti 3 anni, i giudici hanno stabilito il “non luogo a procedere per prescrizione”. Le misure cautelari sono state revocate per tutti gli imputati.

La gioia degli avvocati

Alla lettura della sentenza, arrivata dopo le 20:00, oltre alla gioia degli imputati c’è la soddisfazione dei legali. A parlare sono gli avvocati Elisabetta Manoni e Paolo Zeuli, difensori di Astrid Fragalà. “Siamo molto contenti del risultato. In particolare riguardo alla nostra assistita, assolta su tutta la linea. Già in primo grado avevamo avuto un successo enorme, visto che il Pm aveva chiesto 14 anni e invece le erano stati erogati solo 2 anni e 6 mesi. Ora, togliendo anche l’ultimo capo di imputazione, ha fatto la detenzione senza motivo. Questi sono stati giudici coraggiosi, che hanno fatto davvero giustizia”. 

“Giustizia è fatta”, dichiara l’avvocato Elisabetta Manoni, “Faccio presente che ci sono state misure cautelari pesanti anche per persone che sono state assolte. La mia assistita non è andata in carcere, ma ai domiciliari, solo perché aveva una bambina piccola. E alla fine, invece, è stata assolta. La riflessione è amara, da avvocato e da essere umano: si emettono sentenze pesanti solo perché si hanno cognomi scomodi. Adesso che sono stati assolti o sono state ridotte le pene date inizialmente si capisce che forse c’è qualcosa di sbagliato. Mesi e mesi di intercettazioni: sembra che sentenze così pesanti siano una giustificazione dei soldi pubblici impiegati per questa indagine. Si sarebbe dovuta avere l’onestà di capire che certe persone non c’entravano nulla e non si sarebbe dovuto procedere affatto. E ora altri soldi si spenderanno, perché chiederemo un rimborso per quanto subito, per una questione di giustizia. Si tratta della chiusura del cerchio. Sappiamo che non ci sono i fondi, ma si tratta di una questione di principio. Magari li doneremo in beneficienza, ma sarà una panacea per l’ingiustizia subita”.

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