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Omicidio Diabolik, il proiettile che lo ha ucciso era del servizio Scorte

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Polizia scientifica intervenuta per morte Tevere

Nuove ombre sul caso della morte di Diabolik, il capo ultrà della Lazio ucciso a Roma nel 2019 al Parco degli Acquedotti per il cui omicidio è stato arrestato Raul Esteban Calderon. Le ultime rivelazioni, sulle quali proseguono gli accertamenti, riguardano il proiettile ‘utilizzato’ per uccidere Fabrizio Piscitelli che apparterebbe ai reparti del servizio scorte. Già, ma come ci sarebbe finito in mezzo a questa storia?

Il giallo del proiettile nella morte di Fabrizio Piscitelli 

In quell’agosto, come è stato ricostruito, un runner, che si scoprirà essere poi Calderon – che sarebbe stato pagato 300.000 euro per uccidere Diabolik – si avvicina alla vittima e apre il fuoco. Finora però, come rivela stamani il Messaggero, non si era mai parlato della pallottola utilizzata. Ebbene, da quanto si apprende il proiettile apparterebbe al “reparto scorte del Viminale” ma non è chiaro come sia finito lì. Anche perché ancora oggi non vi è certezza su quale sia stata la pistola usata per compiere l’omicidio . E non è chiaro se, a questo punto, anche l’arma sia riconducibile alle forze di polizia, magari dopo un furto o uno smarrimento. 

La talpa nella Squadra Mobile?

Ma non finisce qui. Il quotidiano romano menziona anche il fatto che Calderon avrebbe potuto contare su una talpa all’interno della Squadra Mobile della Polizia, il cui identikit corrisponderebbe ad un agente vicino alla pensione e in “orbita” nella zona di Ottavia, ovvero dove Leandro ed Enrico Bennato gestivano maggiormente i propri affari entrando in ‘guerra’ proprio contro Diabolik. A mettere nei guai il poliziotto, ora finito sotto indagine, sarebbe stata l’ex di Calderon che, lo ricordiamo, con le sue rivelazioni rimane la principale accusatrice dell’argentino. Secondo la testimonianza della donna, il killer le avrebbe sottratto una pistola a sua insaputa. 

Le rapine e le ‘soffiate’

Si tratta di un’arma sottratta durante una rapina avvenuta in una gioielleria a Torre Maura. Proprio in riferimento a quella rapina l’ex compagna di Calderon inguaia il poliziotto. Racconta infatti che la sera della rapina, avvenuta nell’aprile del 2019, Leandro Bennato (non indagato per questo) si era presentato a casa sua per dirle che era stata ripresa durante il colpo e che era riconoscibile nonostante il travestimento adottato. Le aveva anche riferito che la soffiata gli era stata fatta da una persona all’interno della della Squadra Mobile.

Il caso delle converse 

Ma, sempre secondo il racconto della donna, il poliziotto avrebbe dato anche altre informazioni. In riferimento a un’altra rapina, compiuta al centro commerciale di Tor Bella Monaca, viene arrestata. Ma l’agente le dice che avrebbe fatto il Ferragosto a casa. “E così è stato”, racconta la donna nella sua testimonianza, fornendo come particolare il fatto che, durante la rapina, avesse usato delle scarpe Converse verdi. Il poliziotto, per aiutarla, avrebbe messo a carico della donna solo due rapine invece di tre, restituendole le scarpe e raccomandandole di farle sparire.

L’omicidio di Simone il Passerotto a Torvaianica

Ma anche un’altra intercettazione è gravissima e mette in cattiva luce le “amicizie” tra criminalità e qualche elemento all’interno delle forze dell’ordine. Stavolta riguarda Enrico Bennato. Accusato, insieme a Calderon, dell’omicidio di Shehai Selavdi, l’albanese ucciso in spiaggia il 20 settembre 2020, dice a un  interlocutore: “Me l’ha detto una guardia!.. M’ha detto che ho fatto una ca… che non finisce mai.. so’ andato a Torvaianica con la macchina mia.. hanno visto la macchina e preso la targa…». Che sia la stessa talpa o un’altra?

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