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Caro Facebook, il mio 2015 in breve non l’avrai mai

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Comunque, caro Facebook, del mio anno in breve dovrai fare a meno. Eh sì! Questi dodici mesi non si possono sintetizzare né con due post né con due foto prese a caso, per giunta da una galleria di ricordi che non sai nemmeno da che parte iniziare a guardare. No. Non voglio ridurre a quello che vuoi tu questo mio ultimo periodo di vita, perché sono stati mesi intensi, tosti, vivi, dove ho pianto – tanto – riso – mai abbastanza – dove mi sono arrabbiata al punto da provare odio e capito che sì, hanno ragione, è vero, logora, e che preferisco due calci in culo e a seguire l’indifferenza, perché molto, ma molto più salutare. Ho avuto conferma che chi parla sempre male degli altri non esclude nessuno, nemmeno i suoi interlocutori, quindi arrivederci, grazie e a mai più risentirci. Ho perso una persona che credevo amica e che invece no, non gliene fregava granché e quindi l’ho lasciata andare, a malincuore ma va beh, poi osservandolo da lontano ho provato pena, e mi sono saputa consolare. Ho fatto nuove conoscenze, incontrato persone particolari, eccentriche, diverse da me e per questo ancora più speciali. Ho riscoperto la gioia di sentire vicino quel fratello che non vedo da anni, ma che porto ogni giorno in questo cuore, così diffidente, così acciaccato, ma che continua comunque ad aver voglia e bisogno di amare. Ho sofferto, molto. Ho provato eccitazione, gioia, noia, ho dormito talmente poco che per recuperare non basterà tutto il 2016 e nemmeno l’anno a venire. Ho pregato Dio, parecchio. Poi ho smesso e poi ho ripreso, sempre guardando il cielo, ma questa volta pregando me stessa di non perdere il coraggio né tantomeno la forza di ricominciare, oggi, domani, quando ci sarà nuovamente da battagliare.

Ho parlato, forse troppo o forse non è mai troppo. Ho scritto, ma non quanto avrei voluto. Ho raggiunto parte del mio sogno grazie ad una donna meravigliosa che ha creduto in me e nella mia penna e che ogni giorno, anche quando lo merito meno, mi dimostra di continuare a farlo. Ho sognato ad occhi aperti, per ore ed ore, ho fatto incubi tremendi ad occhi chiusi, per molte più ore. Ho provato l’entusiasmo di chi s’imbarca in una nuova avventura, la paura di chi non ha le spalle coperte, il timore di chi sa cosa significa rischiare, ma sul serio, non tanto per giocare. Ho amato, intensamente, appassionatamente e ancora più di quanto avrei pensato di poter fare. Ho fatto l’amore, tanto e con la passione di una donna che oggi, alla fine, si sente tale. Ho litigato, anche, ma molto meno di quanto avrei potuto, sto cercando di limitare i danni del mio essere così irruente. Ho preso una sbronza epica e il giorno dopo un mal di testa che pareva punizione divina, così mi sono ripromessa di non rifarlo per poi sbronzarmi di nuovo e giurare a me stessa di non fare mai più, né alla sottoscritta né agli altri, promesse che consapevolmente, so già di non poter mantenere.

Ho abbracciato mio padre, più e più volte e come mai era accaduto; gli sto insegnando che non c’è da vergognarsi, che si deve fare finché lo si può fare e, quando mi stringe con pudore, quasi impacciato, sento che il suo è l’unico vero abbraccio che mi può realmente consolare. Ho capito che quando mia madre diventa aggressiva ha solo paura e che, con una sola carezza, posso mettere a tacere ogni sua angoscia facendola smettere di urlare, facendola tornare quella persona che non si può fare a meno di amare. Sono dimagrita, sono ingrassata, sono di nuovo dimagrita per poi ingrassare e arrivare a gridare per l’ennesima volta che fanculo a questo corpo e a quello specchio che mi ha sempre voluta rendere schiava! Ormai sono libera da quelle catene e la mia anima ha fatto scuola, si sa divincolare. Ho ballato, da sola con gli occhi chiusi e con lui, ad occhi aperti perché il suo viso me lo devo godere. Ho cantato con le cuffie alle orecchie, l’ho fatto a casa e pure per strada. Ho camminato per le vie di questa città che non riesco più ad amare, ho sorriso ad estranei a caso e ricevuto come dono più di un sorriso ricambiato. Ho corso con Yuma, il mio cane. Ho giocato con lei per talmente tante ore che non si possono contare, e le ho insegnato anche che deve smettere di aver paura delle biciclette perché non sono mostri e non le faranno mai del male.

Ho avuto il privilegio di aprire gli occhi, ogni mattina, e di vivere realmente. Finalmente, in questi ultimi mesi, ho smesso di stare ferma, immobile, impaurita, lì, a guardare. Ho scoperto che anch’io sono capace di agire e l’ho fatto, non solo come avrei voluto; in verità più volte impulsivamente, quindi come avrei dovuto evitare, ma a prescindere è stato sempre con il cuore, spesso con la paura di non farcela, di essere inadeguata, di sbagliare.
Per me perfetto, nel suo essere imperfetto, tutto questo e tutto il resto che ho omesso non può essere riassunto, anzi, mi rendo conto che sono le 3:40 del mattino e che ne sto scrivendo, cancellando e riscrivendo da parecchio tempo, arrivando alla conferma che all’inizio di questo specie di flusso di coscienza avevo proprio ragione, e che tornado a te, caro Facebook, il mio anno in breve, ora più che mai, non potrai averlo, né oggi e nemmeno domani. Devo rendergli onore, facendotelo conoscere sì, ma come voglio io, parlandone per quello che è stato, senza trascurare nessun attimo importante, senza ridurlo a due foto e quattro post che tu prenderesti a caso, perché il mio 2015 non è stato un anno vissuto in modo banale e non posso ridurlo alla tua sintesi, che sarà pure simpatica e carina, ma rimane pur sempre superficiale.
Alessandra Crinzi
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