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Io non provo pena per Lamberto, ma provo pietà per i suoi genitori

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Io vi invidio, giuro. Invidio tremendamente la sicurezza con la quale puntate il dito contro i genitori del ragazzino morto qualche giorno fa, mentre affermate che i vostri figli non hanno mai fatto o non faranno mai uso di alcuna droga. Vi invidio perché, personalmente, non posseggo questa certezza oggi che non voglio figli, e sono convinta che non l’avrò nemmeno domani, se arriveranno. Credo che essere genitore sia uno dei compiti più ardui che esistano – se penso ai dispiaceri che ho dato ai miei… – e se un giorno sarò madre, l’unica cosa che potrò fare sarà quella d’ascoltare il mio cuore, cercando di fare il meglio, cercando di trasmettere il meglio, per far comprendere a mio figlio cosa sia giusto e cosa no e pregando Dio che i fattori esterni non influiscano negativamente in questo cammino; un 6 al Superenalotto, tenendo conto della società nella quale viviamo.
È vero, è vero! Probabilmente fossi stata mamma non avrei mai autorizzato mio figlio, così giovane, a recarsi in vacanza da solo, ma visto che ospite in una casa dove non mancava la presenza di altri genitori, avrei potuto anche fidarmi, convinta che discoteche e droghe non sarebbero state alla portata del mio bambino. Forse sì, forse no, non lo posso comunque sapere, ma a prescindere non me la sento di giudicare.
Ammetto, io non provo pena nei confronti di Lamberto, morto a 16 anni perché non ha saputo dire di no ad una dose tripla di ecstasy; ha preso la sua meravigliosa vita, l’ha accartocciata insieme al suo futuro e ha buttato tutto nel cesso. Come posso provare pena? Linciatemi, fate pure, ma non riesco a provarne per chi si rovina la vita così o peggio se ne priva, assumendo della merda, come se non si conoscessero le conseguenze, come se provare una volta fosse innocuo come bere un bicchiere d’acqua, quando invece non è così, quando invece può costare la vita. Dio! Che rabbia! Quasi la stessa che mi provocano i “signori della certezza”, quelli che con fare arrogante si permettono di giudicare un’intera famiglia, sparando sentenze, anche cattive – soprattutto cattive – spinti dalla convinzione che questi fatti possano accadere solo agli altri e mai a persone care o vicine. Assurdo non rendersi conto che è proprio questo il vero male: l’arroganza di dire “No! Mio figlio non lo farebbe mai, mio figlio non si drogherebbe mai!!” quando magari fa anche di peggio, quando magari non fa uso di droghe ma le spaccia – come il diciottenne accusato di averla venduta a Lamberto e ai suoi amici – quando magari ve la sta facendo sotto il naso mentre voi siete lì, convinti del contrario e talmente presi da ciò da non riuscire a vedere nient’altro altro.
La verità è che io non sono madre, che io non posso capire, ma che la vita mi ha dato prova che il suo percorso è colmo di “mai dire mai”, che non esiste alcuna certezza e che, soprattutto, dinnanzi al peso del rimorso di due genitori, non esiste cosa più stupida del mettersi a confronto o del giudicare senza pietà alcuna, quando invece, l’unica cosa giusta da fare, dovrebbe essere rispettare quel dolore incolmabile, riflettere, interrogarsi, tacere.
Alessandra Crinzi
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