Viveva da reclusa. Non usciva di casa nè sola nè con le amiche, era controllata negli spostamenti e anche nell’uso del telefono e non sia mai ad avere contatti con uomini…

Una situazione andata avanti per lungo tempo per una donna romana, fino a quando è arrivata una telefonata al 112 che segnalava una lite in famiglia in via Franco Enriquez. È stato grazie a questa richiesta di intervento che la Polizia di Stato, ascoltati i testimoni, hanno capito che qualcosa non andava.
La lite in famiglia ha fatto scattare le indagini
Sono scaturite indagini. Accertamenti dettagliati su quanto accadeva in quell’abitazione e il quadro che ne è venuto fuori, anche grazie al racconto delle amiche della vittima che si sono dette preoccupate per l’incolumità della donna che viveva da reclusa da oltre due anni, ha consentito di chiedere l’applicazione di una misura restrittiva nei confronti dell’aguzzino.
Ricostruiti i maltrattamenti gli agenti hanno chiesto e ottenuto la misura restrittiva per il 46enne
Gli agenti hanno organizzato servizi di appostamento fino a quando sono riusciti ad avvicinare la vittima offrendole il loro aiuto per uscire da quella terribile situazione. È stato così che la donna ha trovato il coraggio di denunciare il suo convivente dando la possibilità ai poliziotti del III Distretto “Fidene – Serpentara”, al termine di una delicata e difficoltosa attività investigativa, coordinata dalla Procura della Repubblica Roma, di dare esecuzione ad un’ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere emessa dal Gip presso il Tribunale di Roma, nei confronti di un 46enne romano, gravemente indiziato del reato di maltrattamenti in famiglia.

La denuncia della donna ha consentito di ricostruire due anni di abusi
La denuncia ha consentito di accertare i fatti: la donna era vittima di maltrattamenti quotidiani, finalizzati a controllarla, al punto tale da costringerla a stare sempre in casa, limitando le sue amicizie, negandole ogni contatto maschile, controllandole il telefono e le mail, pretendendo che il cellulare fosse sempre ben visibile sul tavolo e con la suoneria accesa e costringendola addirittura a ridurre la sua attività lavorativa.
Ad ogni modo l’indagato è da ritenere presunto innocente, in considerazione dell’attuale fase del procedimento, ovvero quella delle indagini preliminari, fino a un definitivo accertamento di colpevolezza con sentenza irrevocabile.