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Tivoli, danni permanenti al neonato, condannati al maxi-risarcimento (milionario) Asl e 3 sanitari

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neonato nasce prematuro e senza esofago salvato al san camillo

Due medici e un’ostetrica della Asl di Tivoli sono stati condannati a rimborsare all’Azienda 2 milioni 168 mila e 411 euro, perché ritenuti responsabili di aver tenuto un comportamento colposo nel corso del parto. La gravidanza era andata per il meglio e anche al momento in cui il piccolo doveva venire alla luce non sembravano esserci problemi, ma l’aver inalato meconio, materiale fecale sterile che il neonato produce nell’utero della mamma, ha provocato al piccolo danni permanenti. Conseguenze per le quali la Asl Roma 5 ha dovuto corrispondere ai genitori un risarcimento di oltre 3 milioni di euro.

La sentenza della Corte dei Conti e la condanna dell’Asl

Solo in seguito la Corte dei Conti, investita dall’Azienda, si è pronunciata condannando i tre operatori sanitari a risarcire quello che viene considerato un ‘danno erariale indiretto’. Una vicenda che ha inizio il 7 luglio del 2007 quando la donna incita viene sottoposta ad accertamenti e poi rimandata a casa, con l’accordo che sarebbe tornata il giorno seguente per essere ricoverata. Il giorno dopo la puerpera è tornata e le sono stati somministrati farmaci per stimolare il parto, è stata poi monitorata e sottoposta a controllo dell’ostetrica, ma non sembra ci fossero situazioni preoccupanti. All’improvviso, però, il sacco amniotico si è rotto e la situazione è precipitata e si evidenziarono problemi di frequenza cardiaca per il feto.

All’improvviso la tragedia

A seguire la donna è stata ricoverata in terapia intensiva per la sofferenza del bambino. Qualche giorno dopo, da accertamenti, è risultato che il piccolo aveva riportato danni da inalazione nei polmoni di materiale fecale. In questo sarebbe consistita la responsabilità dei sanitari che non avrebbero bene interpretato i segnali che, invece, dovevano essere evidenti. Tutto questo avrebbe comportato un intervento tardivo. La Corte contabile avrebbe ritenuto sussistere la responsabilità dell’Asl che tendeva a disincentivare il ricorso ad apparecchiature quale il metodo diagnostico sicuro che era previsto solo in casi estremi.

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