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Filippo Limini, massacrato di botte e poi investito: morto a 25 anni, analogie e differenze con il caso di Willy Monteiro

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Due giovani vite spezzate, risse notturne che si trasformano in tragedie. Due episodi, avvenuti nel giro di 3 settimane, che presentano alcune analogie, ma anche molte differenze, tanto che le decisioni dei giudici sono state differenti rispetto a quelli che sono sono stati indicati come i presunti colpevoli di questi omicidi. 

Parliamo di Willy Monteiro e Filippo Limini. Di Willy, il 21enne italo-capoverdiano dagli occhi dolcissimi, dal sorriso travolgente e dal cuore d’oro, ormai sappiamo tutto. Di lui hanno parlato tutti i giornali, i social, le trasmissioni tv. Se ne è parlato nei bar, nelle piazze, al mare. Il suo gesto altruista, che gli è costato la vita, ha commosso tutti, mentre la brutalità dei 4 che lo hanno aggredito e ucciso ha suscitato l’ira e lo sdegno della maggior parte degli italiani, che spesso si sono anche scatenati sul web con commenti feroci nei confronti degli assassini.

Un po’ meno si sa invece, si sa di Filippo, ucciso a Ferragosto a Bastia Umbra, tanto che in questi giorni gira un post che mette a confronto le due morti, ma che contiene diverse imprecisioni. Partiamo dal fatto che non ci debbano essere morti di serie A e di serie B. Stiamo parlando di due ragazzi che adesso dovrebbero essere qui a progettare il loro futuro e non chiusi in una bara perché dei balordi hanno deciso di spezzare i loro sogni. Ma le modalità in cui hanno trovato la morte i due giovani sono un po’ diverse tra loro.

Pur essendo stati entrambi massacrati dal branco ed essendo entrambi vittime di risse nate per futili motivi, c’è da evidenziare la totale estraneità di Willy, intervenuto per difendere un amico e fare da paciere, mentre – da quanto emerge dalle indagini – nel caso di Filippo pare che il ragazzo fosse parte attiva nella rissa. Questo non vuol certo dire che meritasse di morire, o che i suoi assassini siano meno colpevoli di chi ha ucciso Willy, ma, sul piano giuridico, la valutazione è sicuramente diversa, come la percezione da parte dell’opinione pubblica. 

Nel post che sta girando viene inoltre detto che Filippo è stato ucciso da tre albanesi. E’ stato invece appurato che il 25enne di Spoleto è stato picchiato ferocemente (l’autopsia parla di traumi in ogni parte del corpo: facciali, all’addome, al torace, al cranio e agli arti, oltre a fratture e lesioni da schiacciamento) da un branco di ragazzi di origine rumena, ma naturalizzati italiani, che hanno partecipato alla rissa. Filippo è stato poi investito e ucciso.

Per la morte di Filippo il 15 agosto erano stati arrestati tre ragazzi, inizialmente trasferiti nel carcere di Capanne, ma successivamente posti ai domiciliari con l’accusa di rissa aggravata e omicidio preterintenzionale. Dalla ricostruzione degli inquirenti, uno dei tre avrebbe dato origine alla lite, un altro avrebbe sferrato il pugno o il calcio e il terzo lo ha investito con l’auto in retromarcia. 

Il motivo per cui è stata riconosciuta la misura cautelare dei domiciliari è il Gip di Perugia non individua «un gruppo di aggressori e di aggrediti» ma parla di «una iniziale volontà di contrapposizione reciproca». Quella sera ci sono infatti due gruppi di persone che stanno litigando, non una persona da sola contro tante. Filippo fa parte del gruppo più nutrito. Come riporta La Nazione, secondo la ricostruzione del gip solo «successivamente» alla contrapposizione iniziale «gli indagati, essendosi resi conto di poter avere la peggio perché in inferiorità numerica, sono fuggiti, venendo poi inseguiti». Nel provvedimento si sostiene come sia «vero» che questi – che «hanno dato dimostrazione, nell’occasione, di non riuscire a controllare i propri impulsi violenti» – «hanno partecipato alla rissa» ma «dall’altra parte vi era un gruppo di persone, in corso di identificazione, ben più nutrito, tra cui la vittima, che si è contrapposto con una violenza risultata addirittura superiore, se si tiene conto dell’inseguimento e dell’aggressione con corpi contundenti, come attestano gli ingenti danni alla vettura». Per il giudice «solo il fatto di essersi riparati all’interno» dell’auto «non ha portato ad esiti gravi anche con riguardo all’incolumità fisica degli indagati». Il giovane alla guida – difeso dall’avvocato Delfo Berretti – ha sostenuto di non avere visto Limini Senapa a terra dopo essere stato colpito dal pugno, di non essersi accorto di averlo travolto procedendo in retromarcia e che quella era l’unica direzione possibile (essendo in una strada chiusa). «C’è anzitutto comprensione per giovane morto – ha detto il legale – ma la giustizia deve far emergere la verità dei fatti. E dalla ricostruzione emerge chiaramente – ha concluso l’avvocato Berretti – che l’auto condotta dal mio assistito non è passata sopra alla vittima due volte».

Due casi di cronaca diversi, quindi. Entrambi atroci, entrambi da condannare, entrambi con due giovani da piangere e rimpiangere, entrambi con episodi di violenza assurda, ma non da paragonare. Resta il fatto che Willy e Filippo sono vittime di una società che invece di riflettere al momento giusto preferisce commentare – magari a sproposito – sui social, alimentando odio e paragoni anche nella morte.

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