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Parla Simone, il clochard di viale Amelia: ‘Vi racconto la mia versione’

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Martina Scialdone

È stato una delle persone che per ultimo ha visto viva Martina Scialdone, l’avvocato 35enne uccisa brutalmente davanti al ristorante Brado di viale Amelia, al Tuscolano, dal suo ex, Costantino Bonaiuti, la sera del 13 gennaio. Lui lì ci viveva. Su una panchina, proprio davanti al locale dove è avvenuto l’omicidio. Simone, 47 anni, è il clochard di cui tutti hanno parlato sui giornali, in tv e sui social, intervistato e ricercato. Ma questo gli ha provocato problemi, perché qualcuno ha frainteso le sue parole, riportandole male. E adesso è proprio lui che vuole fare chiarezza, perché lì, da quel giorno, non non sta più bene. Ed è andato via.

“Ho scelto Il Corriere della Città per fare le mie dichiarazioni”, esordisce Simone. “Innanzi tutto è doveroso da parte mia porgere le mie più sentite condoglianze e il mio immenso dispiacere ai famigliari della donna morta. Poi vorrei specificare a tutti che, contrariamente a quanto è stato detto, non sono un testimone oculare. Infatti non sono stato ascoltato dagli inquirenti e non esiste nemmeno una mia deposizione”.

I chiarimenti di Simone

Non ho soccorso io Martina – prosegue Simone – Non è stato necessario, perché subito dopo lo sparo lo staff del locale Brado e i clienti l’hanno soccorsa immediatamente, facendo tutto il possibile e anche l’impossibile per cercare di rianimarla prima dell’arrivo dell’ambulanza. Non sono un eroe né tantomeno un angelo. Il mio più grande rammarico è quello di non aver sentito nulla prima dello sparo, perché avevo gli auricolari con la musica ad alto volume, altrimenti sarei intervenuto senza pensarci un secondo! Sono stato ripreso ed è stata fatta una foto a mia insaputa: è stata pubblicata col mio nome e cognome, senza il mio permesso. Ciò che è successo all interno del locale io non l’ho visto, ho solo ascoltato le deposizioni fatta dal cameriere del locale e da un paio di clienti alla polizia e stupidamente il mattino dopo l’ho ripetuto, perché sono stato letteralmente assalito dai giornalisti. Scrivere del mio passato da fighter di strada e poi da insegnante di tecniche di combattimento non solo era irrilevante, ma non so nemmeno come abbiamo fatto a saperlo, visto che non ne parlo mai con nessuno”.

È davvero amareggiato Simone. E adesso lui, da quel giorno, a causa di tutto questo, ha dovuto lasciare quella panchina e quel quartiere, dove si trovava bene e aveva trovato un ambiente familiare e accogliente. Ha preso le sue cose ed è andato via. 

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“Colpa di tutti”

“È stato scritto che quella panchina è da molti anni il mio letto e la mia casa, ma non è vero! Ho cominciato a dormire su quella panchina ad aprile dello scorso anno, nel giorno della domenica delle Palme, circa 9 mesi fa. Durante questi mesi sono sempre stato educato, cortese e disponibile con tutti. Non ho mai avuto nessuna discussione e nessun diverbio con gli abitanti del quartiere. Al contrario, ho avuto la fortuna e il grandissimo piacere di conoscere alcuni residenti, che spesso mi hanno aiutato e con cui a volte facevo una passeggiata e con i quali si parlava per un’oretta.

Precisato questo però, il mio pensiero non cambia: quando accadono queste tragedie è colpa di tutti. È colpa di chi non ha mosso un dito, è colpa mia che non ho sentito nulla a causa degli auricolari, e non immaginate i miei sensi di colpa per questo. È colpa delle istituzioni che con questa storia del porto d’armi per uso sportivo permettono a molti cittadini di possedere legalmente una pistola. Per come la penso io, gli unici che dovrebbero avere un’arma sono la polizia di stato e i carabinieri”. 

“Spero si possa trovare pace”

“Ormai è inutile cercare un colpevole morale, lo siamo tutti. È  facile giudicare dall’esterno ma è molto difficile gestire una situazione del genere da parte di uno staff. Sono più convinto che forse qualcosa si poteva fare, me compreso. Ma io ragiono in questo modo perché non ho più niente da perdere, né beni materiali né una casa o un lavoro e, cosa più importante, non ho più affetti. Potrei trovare fattori di comodo, ma se ho scelto di stare per strada è perché anche io ho qualcosa da cui redimermi e mi auto punisco stando per strada! Spero ed auguro con tutto il mio cuore che con il tempo la famiglia di Martina Scialdone possa trovare un po’ di pace che allievi la loro sofferenza e che lo staff del locale possa ripartire e tornare alla normalità col tempo. Infine ci tengo a precisare che sono andato via dalla panchina di viale Amelia solo ed esclusivamente per evitare altri assalti da parte dei giornalisti. Non ho subito alcun tipo di minaccia o ritorsione da parte di nessuno, anche perché le minacce non mi impauriscono minimamente”.

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