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Roma. Sergei, 9 anni: «Né per l’Ucraina, né per la Russia: io sono per la pace. Discriminato a scuola perché russo»

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manifestazione a scuola guerra ucraina

Una bella iniziativa, quella di una scuola elementare di Roma nord, zona Palmarola. I bimbi sono stati fatti uscire dalle loro classi e fatti andare in cortile. Lì, una volta disposti in cerchio, hanno iniziato a cantare “Pace, pace”. Tutto molto bello, appunto. Peccato che, come spesso accade, ci sia un “ma”. I bambini avevano in mano le bandierine dell’Ucraina e la coreografia fosse stata allestita da palloncini gialli e azzurri. 

La manifestazione a scuola: palloncini e bandierine dell’Ucraina 

Cosa ci può essere di male, visto che in questo momento l’Ucraina è sotto attacco, invasa da un mostro chiamato Russia? Il problema è tutto qui: a volere la guerra non sono i cittadini russi, ma qualcun altro. E forse sarebbe stato il caso di non far schierare i bambini e mettere bandiere della pace, invece di bandiere dell’Ucraina, visto che – appunto – si tratta di bambini, dal momento che nella scuola ci sono anche bimbi russi che in questo momento si sentono “colpevoli”, perché fatti sentire in colpa. 

Colpevoli di avere un presidente che prende decisioni sbagliate, che vuole una guerra che loro non vogliono. I bambini russi, sia in quella che nelle altre scuole, vengono trattati in maniera diversa rispetto a come lo erano fino a due settimane fa. In modo più distaccato. Ce lo raccontano i loro genitori, ma ce lo raccontano anche gli stessi bambini.

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“Io sto dalla parte della pace”

“I miei compagni di scuola mi hanno chiesto ‘Tu sei russo, vero? Tu da che parte stai?’ Ma io ho risposto che non sto dalla parte dei russi, né dalla parte degli ucraini, perché io sto solo dalla parte della pace”, racconta Sergei. Per i suoi 9 anni è molto maturo. O almeno lo è dovuto diventare di colpo, davanti alle immagini di quella guerra che, suo malgrado, lo fanno sentire protagonista in negativo, anche se non capisce perché.

“Oggi Sergei ha portato aiuti ai compagni ucraini della sua scuola. Lo ha fatto con amore. Con tutto l’amore di cui solo bimbi e animali sono capaci. Ma il gesto pare non sia stato compreso da parte di alcuni genitor. Peccato”, racconta la zia. E poi è lo stesso bambino a raccontare di come sia stato discriminato. 
“Non è accettabile che i bambini siano sottoposti a una sorta di lavaggio del cervello per stabilire da che parte stia la ragione e per chi bisogna ‘fare il tifo’, tra l’altro in una scuola dove c’è un bimbo russo. Questa non è una partita di calcio. La guerra è una cosa deprecabile e orribile. E loro sono solo bambini”, rimarca il papà di Sergei. Le maestre della scuola dove va il bambino hanno assicurato che non prenderanno una posizione in materia, ma il papà è comunque scoraggiato.
E come Sergei altri bambini russi si sentono emarginati, “diversi” rispetto a come erano considerati solo pochi giorni fa. “Non è giusto far ricadere sui cittadini russi, che siano bambini o adulti, atleti o artisti, quello che sta succedendo a livello militare”, prosegue il papà di Sergei.
 

Le amicizie perse

Un’altra testimonianza arriva da Anna (nome di fantasia), che racconta così la sua storia personale. “Mia cognata è russa, di Mosca. Da 8 mesi vive a Roma con Igor, il suo splendido bambino, dopo aver sposato a Istanbul lo scorso agosto quello scavezzacollo di mio fratello, divorziato anche lui, con due bimbi. Ero prevenuta nei suoi confronti, all’inizio. Lo ammetto. I luoghi comuni hanno spesso la meglio sulla ragionevolezza e sull’esperienza diretta. Mio fratello ha una posizione, guadagna bene…insomma…il dubbio c’era”. 
Ma nel tempo Anna si ricrede. “Quella che però mi sono trovata davanti è una giovane donna acqua e sapone, seppure molto graziosa, e tanto, tanto fragile. Due giorni dopo lo scoppio della guerra in Ucraina ha voluto parlare con me al telefono e fra le lacrime mi ha confessato tutta la sua preoccupazione per i fratelli rimasti in Patria che ora andranno a combattere loro malgrado per una volontà superiore alla loro, spesso non condivisa dalla maggior parte del popolo russo. E poi mi ha chiesto scusa nel suo italiano ancora stentato che mescola all’inglese: “Sorry, Anna, sorry! Mi dispiace. Io mi vergogno tanto. Questo noi non lo vogliamo!” Mi ha poi raccontato come dal suo profilo Istagram stanno scomparendo uno ad uno tutti i suoi amici ucraini, artisti, designer come lei. E altri. Qualcuno le ha anche detto che se ne andava perché le mani dei russi sono insanguinate col sangue degli ucraini. Eh, sì, proprio queste parole. Un po’ come quell’anziano signore che poco fa in TV ha detto che sì, siamo tutti fratelli, ma il fratello russo è Caino”.

La follia: discriminati anche i gatti russi

Che in questa guerra si sia arrivati alla follia lo dimostri il fatto che, dopo aver eliminato gli artisti russi dalle principali competizioni canore e sportive, a partire dall’Eurovision Song Contest che si svolgerà a Torino dal 10 al 14 maggio, così come atleti russi dalle Paralimpiadi. Ma sono stati addirittura banditi i libri russi dalla Fiera del libro, sempre a Torino, e – cosa ancora più assurda, la federazione internazionale dei felini ha vietato le gare ai gatti russi. Forse si sta perdendo il senso della misura, non riuscendo a distinguere tra chi sta effettivamente sbagliando e chi sta subendo le conseguenze di questi errori. Il popolo russo non ha cercato né voluto questa guerra, non è colpevole delle scelte militari di Putin. E non vuole la morte degli ucraini. Non confondiamo le persone con la politica e il potere. Lo sportivo e l’arte con il predominio. E soprattutto la guerra con l’innocenza dei bambini.
 

Video di Enrico Paolocci

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