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Referendum Giustizia: i 5 quesiti spiegati e cosa può cambiare se passa il ”Sì”

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Referendum Giustizia: ecco i quesiti spiegati

Referendum. Domenica 12 giugno è una giornata davvero ”calda”. Non solo ci saranno le amministrative in buona parte dei comuni come abbiamo già avuto modo spiegare in un altro articolo, ma c’è anche la questione referendum sulla giustizia.

Referendum Giustizia domenica 12 giugno

Oltre 50 milioni di elettori italiani sono chiamati ad esprimersi su 5 quesiti referendari, promossi dai radicali e dalla Lega. Poi, qualche giorno dopo, il 15 giugno, il Senato esaminerà la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario presentata dalla Guardasigilli Marta Cartabia e oggetto di una lunga trattativa. Due percorsi paralleli (ma non troppo!), spinosi e non proprio di facile acquisizione per i cittadini che negli ultimi tempi hanno dovuto fare i conti con una serie di crisi non da poco. Alle urne, gli italiani chiamati al voto dovranno esprimersi sulla legge Severino, le misure cautelari, la separazione delle carriere e le valutazioni dei magistrati, e le candidature per il Csm.

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Quorum: un’incognita

La prima questione da snocciolare, sarebbe proprio quella del quorum in effetti: il referendum abrogativo, per ritenersi valido, richiede la partecipazione della metà più uno degli aventi diritto al voto. L’obiettivo di affluenza di certo non è una questione scontata, sia per la complessità dei quesiti sia per le coordinate temporali in cui ci troviamo. La Lega, inutile dirlo, si gioca molto con queste consultazioni, e in merito Salvini ha parlato di una vera e proprio ”censura mediatica” sull’argomento. Vediamo in sintesi, ora, cosa chiedono i questioni referendari. 

Quesito 1: Incandidabilità e decadenza

Il quesito numero 1, contrassegnato da una scheda color rosso, è relativo all’abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi. In sintesi, si chiede agli elettori se vogliono eliminare le disposizione che furono introdotte nel 2012 (la Legge promossa da Paola Severino), con cui si prevede l’incandidabilità, l’ineleggibilità e, quindi, la decadenza automatica per chi è stato condannato in via definitiva per alcuni tipi di reato: tra questi, i reati di mafia, terrorismo e anche quelli contro la pubblica amministrazione.

Va da sé che le norme in questione si applicano a tutte le competizioni elettorali, dal parlamento alle amministrazioni locali. Scegliendo il sì, si cancellerebbe l’automatismo dell’applicazione e dovrà essere il giudice, di volta in volta, a decidere se, in caso di condanna, occorra infliggere anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Coloro che si oppongono, invece, ritengono che non debba essere abrogato un testo che, ad oggi, rappresenta uno dei più ampi interventi in materia di lotta alla corruzione.

Quesito 2: Custodia cautelare

Il quesito numero 2, riconoscibile dalla scheda arancione, si occupa delle limitazione delle misure cautelari, sottoponendo agli elettori l’abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari ed esigenze cautelari, nell’ambito, ovviamente, di un processo penale. Ad oggi, la carcerazione preventiva dell’indagato può essere disposta nei casi dove venga ravvisato il concreto rischio di inquinamento delle prove di un’inchiesta, di fuga di chi è sottoposto a indagine oppure il “concreto ed attuale pericolo” di reiterazione del reato.

Detto più semplicemente, ad oggi un giudice ha la facoltà di mettere un indagato agli arresti domiciliari o in carcere anche prima della condanna. Ma questo, solo se c’è pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o se c’è il rischio concreto che ripeta il reato. Se vincesse il “sì”, dunque, verrebbe eliminata la ripetizione del reato dalle motivazioni. Pensiamo, ad esempio, ai reati per spaccio, che in Italia rappresentano la gran parte: la reiterazione del reato è usata per tenere dentro gli spacciatori.

Quesito 3: Separazione carriere

La scheda numero 3 è di colore giallo, e con il quesito al suo interno gli elettori sono chiamati ad esprimersi sulla separazione delle funzioni dei magistrati. Il quesito in questione, chiede l’abrogazione di quelle norme che consentono a un magistrato di passare dalle funzioni di pubblico ministero a quelle di giudice (e viceversa). Ad oggi, sono previsti quattro passaggi di funzione nell’arco della carriera. Il referendum ha l’obiettivo di rendere la scelta definitiva: se passa il ”sì”, il magistrato dovrà scegliere all’inizio della carriera la funzione giudicante o requirente, per poi mantenere quel ruolo per tutta la carriera, con l’obiettivo di distinguere nettamente chi giudica da chi accusa. Un tema molto complesso, su cui le riflessioni in merito sembrano essere davvero inesauribili. Chi è convinto del ”no” sostiene che in tal modo si introdurrebbe, di fatto, la separazione delle carriere, per la quale, di conseguenza, sarebbe necessario un concorso di accesso alla magistratura distinto per giudici e pm, e con ciò anche un doppio Csm.

Quesito 4: Valutazione dei magistrati

Veniamo, ora, alla scheda numero 4, contrassegnata dal colore grigio. Qui, i cittadini sono convocati ad esprimersi sul sistema di valutazione dei magistrati, una prerogativa riservata al Csm che, in generale, prende le sue decisioni anche sulla base delle valutazioni provenienti dai Consigli giudiziari a livello territoriale. Il quesito riguarda, dunque, la ”partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. Abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte”. In altre parole, il ”sì” punta dichiaratamente a consentire il voto dei laici – avvocati e professori – che siedono nei consigli giudiziari. E questo, anche su queste deliberazioni, al fine di ottenere giudizi più oggettivi sull’operato dei magistrati. Chi opta per il ”no”, d’altro canto, pone la questione secondo cui risulta inopportuno il giudizio degli avvocati su chi, durante il processo, rappresenta la loro rispettiva controparte.

Quesito 5: Le firme per il Csm

Il quesito referendario numero 5, indicato con una scheda verde, si propone di intervenire sul meccanismo di selezione dei magistrati candidati alle elezioni del Csm. La questione è relativa alla ”abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura”. Si propone di eliminare, in questo modo, la norma per cui ogni candidatura per l’elezione dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura sia sostenuta da un minimo di 25 e un massimo di 50 presentatori. Il fine dei referendari è quello di arrivare a candidature individuali dei membri togati, senza il supporto degli altri colleghi, nel tentativo di indebolire considerevolmente il peso delle correnti. Con il ”sì’ verrebbe eliminato l’obbligo di presentare 25 firme, ad oggi fornite di consueto col supporto delle correnti, per i candidati che vogliono candidarsi per il Consiglio superiore della magistratura.

Le posizioni referendarie dei partiti

In questa tornata referendaria, che sembra essere una delle meno polarizzate degli ultimi anni, il centro-destra si presenta alle urne abbastanza spaccato: Forza Italia è favorevole largamente a tutti i quesiti, il partito della Meloni, Fratelli d’Italia, è deciso sul ”no” per la Severino e la custodia cautelare. Poi, il Movimento 5 Stelle ha deciso di chiamarsi fuori, poiché ritiene che sia ”il Parlamento la sede per la riforma della Giustizia”. Giuseppe Conte è duro sulla questione, e dichiara che ”I cinque quesiti sembrano una vendetta della politica nei confronti della magistratura”. Molto più variegata la situazione sul fronte della sinistra, dove il Pd ha lasciato libertà di coscienza. Enrico Letta ha di recente dichiarato che esprimerà senza remore 5 ”no”: ”Penso che questo referendum sia uno strumento sbagliato”. Matteo Renzi va a nozze con la battaglia della Lega e voterà ”sì” a tutti i quesiti, come del resto farà anche Carlo Calenda (Azione).

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